Raj Patel, Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo

Feltrinelli, 236 pagine, 16,50 euro

Se il crollo finanziario del 2008 ha messo in crisi l’idea che il prezzo delle cose è giustamente determinato dal mercato, come possiamo calcolare il valore di ciò che usiamo e consumiamo? Un hamburger vale un dollaro come dice McDonald’s o duecento come spiega chi calcola il suo costo ambientale?

Per rispondere a questa domanda Raj Patel, economista e attivista, studia con l’aiuto di alcuni classici (soprattutto Polany) la storia della società di mercato e cerca un’alternativa, trovandola non nei governi ma nei movimenti che in America Latina, Sudafrica e Cina si oppongono allo sfruttamento dei beni comuni con la democrazia diretta, la discussione ampia, la disobbedienza civile.

Il problema di partenza (occorre ripensare il valore economico) e la sua soluzione (occorre farlo ridefinendo la democrazia) meritano attenzione e fanno pensare, ma i passaggi che portano dall’uno all’altra si intravedono appena in un testo che cerca di mettere insieme troppe cose (il cambiamento climatico, lo slow

food, il free software) e basa su poche prove i suoi argomenti più convincenti (la centralità dei beni comuni) e quelli più dubbi (sono davvero tutti d’accordo che la crisi abbia minato le basi del neoliberismo?).

È frustrante leggere un pamphlet sfavillante su un argomento che avrebbe richiesto un saggio, magari più noioso, ma anche più solido.

Internazionale, numero 841, 9 aprile 2010

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