Jacques Chiffoleau, La Chiesa, il segreto e l’obbedienza

Il Mulino, 185 pagine, 18,00 euro

Discussioni diverse, come quella sulla pillola abortiva o sulla punizione dei clienti delle prostitute, sembrano mettere in crisi la differenza tra reati e peccati, tra la violazione di norme della convivenza civile e quella di regole morali e princìpi religiosi. Ma quando è nata questa distinzione che nonostante tutto continuiamo a ritenere imprescindibile?

Secondo molti storici risale al duecento, quando nei tribunali ecclesiastici si cominciò ad affermare il principio secondo cui le cose occulte non dovevano essere giudicate, e si separarono così due sfere: quella della legge, oggetto della giustizia umana, e quella della coscienza, a essa estranea.

Per Jacques Chiffoleau, storico del potere medievale, tuttavia, a questo principio si fecero subito molte eccezioni e la separazione non si realizzò mai fino in fondo. Di fronte a pericoli presentati come gravissimi (l’eresia o la lesa maestà) opinioni e convinzioni furono giudicate eccome, con indagini e procedure che per la prima volta furono tenute segrete al fine di proteggere i giudici.

Così tra potere ecclesiastico e civile cominciò una sfida nascosta e sotterranea per decidere chi avesse più diritto a scandagliare le coscienze. Politica e religione cominciarono a “scambiarsi la veste” (come ha scritto Gustavo Zagrebelsky), finendo per aprire gli spazi di ambiguità che oggi ci appaiono in tutta la loro evidenza.

Internazionale, numero 845, 7 maggio 2010

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