Marshall Sahlins, Un grosso sbaglio
Elèuthera, 127 pagine, 12,00 euro
Da molto tempo in occidente circola un’idea: gli uomini hanno abbandonato il loro stato di natura, da animali selvaggi sono diventati individui civilizzati. Se però l’equilibrio garantito dal capo o dalle regole della convivenza viene meno, rischiano di tornare in quello stato bestiale e di far precipitare la società nell’anarchia.
Lo pensava Tucidide molto prima di Thomas Hobbes, e lo pensano ancora molti economisti che continuano a impostare le loro analisi sulla tesi che gli uomini tendono a cercare il massimo vantaggio, spinti dalla loro natura primitiva e animale.
L’antropologo Marshall Sahlins ha sempre creduto che questa idea fosse sbagliata, sostenendo, tra le altre cose, che le scelte economiche non sono il frutto di un’universale ricerca del profitto, ma della cultura di ogni società. Oggi Sahlins, ormai ottantenne, spiega in un asciutto pamphlet che la tesi di una natura umana selvaggia e individualista non regge al confronto con culture diverse dalla nostra. In molte di queste società gli animali (inclusi i lupi) non sono considerati esseri primitivi da cui l’uomo si differenzia in virtù della cultura, ma “persone non umane” con cui stabilire relazioni.
In queste società, di conseguenza, la natura umana non è un pericoloso fardello da tenere a freno, ma solo il frutto dei rapporti personali e sociali in cui ogni uomo è inserito. Buono o cattivo che sia.
Internazionale, numero 847, 21 maggio 2010
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