Chris Hann e Keith Hart, Antropologia economica. Storia, etnografia, critica

Einaudi, 250 pagine, 19 euro

La crisi che in questi anni stiamo vivendo costringe economisti, antropologi e storici a ripensare ai princìpi in base ai quali è organizzata l’economia mondiale; a mettere in dubbio che il capitalismo di mercato, di cui oggi si rivela la faccia più cattiva, sia l’unico o il migliore sistema di organizzazione possibile; a chiedersi se gli strumenti teorici che gli studiosi hanno elaborato per descrivere quel sistema siano ancora utili per interpretare il mutevole mondo della produzione, dello scambio e della distribuzione delle risorse.

Non è la prima volta che tutto questo accade. È successo sicuramente tra la prima e la seconda guerra mondiale, quando, sollecitati dalla crisi del 1929, Karl Polany e altri avviarono una riflessione in questo senso proponendo di guardare all’economia non più solo come un campo governato dall’azione di leggi universali, ma come uno dei contesti dell’attività umana, condizionato dalla storia, dalla forma della società, dalle decisioni della politica.

Da allora la riflessione non ha smesso di crescere, diventando, con il nome di “antropologia economica”, terreno di dibattiti accesi e di confronto tra studiosi accademici e addetti alla pianificazione e allo sviluppo. Di tutto questo dà conto questo libro che non si limita a tracciare il profilo della disciplina, ma ne mette in evidenza l’utilità per comprendere la grande trasformazione con cui dobbiamo fare i conti.

Internazionale, numero 921, 28 ottobre 2011

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