Nicholas Shaxson, Le isole del tesoro

Feltrinelli, 319 pagine, 19 euro

Di solito quando pensiamo ai modi di redistribuire la ricchezza per mezzo della fiscalità, rimaniamo ancorati a una prospettiva nazionale. “Negli Stati Uniti”, diciamo per esempio, “bisognerebbe tassare di più i redditi alti, specialmente finanziari”, “in Italia occorre lottare contro l’evasione”, e così via. Secondo Nicholas Shaxson, giornalista che collabora con l’Economist, non servirebbe a molto: trovandosi costretti a pagare in un dato paese, molti sposterebbero semplicemente i soldi altrove. Per questo, spiega, bisogna adottare una prospettiva globale.

I trasferimenti di grandi capitali verso strutture politicamente stabili che aiutano le persone ad aggirare le norme, le leggi e i regolamenti di altri paesi, ovvero quelli che chiamiamo i paradisi fiscali, hanno un ruolo così importante nel fatturato delle banche che solo affrontando questo nodo si può sperare di cambiare qualcosa. Ripercorrendo con tanti esempi la storia di queste “giurisdizioni separate” dall’ottocento a oggi, Shaxson mostra come siano la causa dell’aumento delle diseguaglianze tra individui, classi e paesi e fa capire quanto sia sbagliato pensare che il fenomeno sia limitato.

Come spiega nel libro l’economista Marshall Langer: “Nessuno si stupisce quando dico che il più grande paradiso fiscale del mondo è un’isola. Tutti però restano meravigliati quando dico che quell’isola si chiama Manhattan”.

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