Tara Zahra, I figli perduti
Feltrinelli, 381 pagine, 30 euro
I bambini sono tra le vittime più colpite di tutte le guerre, ma ogni guerra li colpisce in un modo diverso. Questo studio di una storica dell’università di Chicago racconta gli effetti devastanti della seconda guerra mondiale sui bambini europei e i modi in cui si cercò, negli anni immediatamente successivi, di alleviarli.
Dopo la liberazione, infatti, ogni paese europeo aveva un enorme numero di famiglie divise. Molti bambini erano stati deportati, altri sfollati per sfuggire ai bombardamenti, altri ancora, semplicemente, avevano perso i genitori. Nel decidere cosa fare con tutte queste famiglie divise ci si basò su due princìpi: da un lato, il principio politico della nazionalità, la necessità, allora più che mai fortemente sentita, di ricongiungere i bambini al gruppo etnico a cui si riteneva appartenessero; dall’altro, il principio psicologico della riduzione della sofferenza. Proprio in quegli anni e proprio sulla base di quelle esperienze si elaborarono i concetti che ancora oggi usiamo per parlare della psicologia infantile: attaccamento, shock traumatico, ruolo parentale.
Attraverso moltissimi episodi, Zahra spiega come questi due princìpi guida entrarono in conflitto dando vita a effetti paradossali e aprendo nuovi problemi invece di risolverli. Più in generale, schiude una prospettiva nuova per capire come si è formato il mondo in cui viviamo.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it