Michele Roccato e Terri Mannarini, Non nel mio giardino

Il Mulino, 170 pagine, 15 euro

Non sono tempi facili per chi intende realizzare grandi opere. Contro i progetti di inceneritori, centrali o linee ferroviarie in Italia e altrove le comunità locali insorgono manifestando quella che i giornalisti chiamano sindrome Nimby, e cioè affermando che non vogliono che il proprio territorio debba pagare per tutti. In questo modo i lavori si rallentano e si fermano, mettendo i contendenti in una situazione di stallo. In questo libro gli strumenti della psicologia sociale sono usati per capire le ragioni di questo stallo e superarlo.

Con qualche tecnicismo, ma anche con molta lucidità, gli autori spiegano le ragioni del polarizzarsi dei conflitti che sarebbe meglio chiamare “usi del territorio non voluti localmente”, l’emergere di uno scontro tra argomenti tecnicistici e identitari, i modi con cui si cerca di superare il blocco, e infine la profonda crisi dei meccanismi decisionali che questo tipo di tensioni mostra, una crisi che va oltre la cronaca, rivelando qualcosa sulla forma assunta oggi da molta politica.

Di questa evoluzione è un buon simbolo la stessa definizione di “sindrome Nimby” che, lungi dall’essere neutra, riveste invece la funzione strumentale di presentare chi si rifiuta, spesso con ottime ragioni, di avallare un processo decisionale a cui non è stato chiamato a partecipare, come un egoista che non collabora alla realizzazione del bene comune.

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