James Marsh, Project Nim
Feltrinelli, 96 pagine + dvd, 16,90 euro
Nel 1973 lo psicologo della Columbia university Herbert Terrace decise di dimostrare che, a differenza di quanto sosteneva Noam Chomsky, il linguaggio non è una caratteristica esclusivamente umana. Per farlo, provò a insegnare la lingua dei segni a un piccolo di scimpanzé, che chiamò Nim Chimsky, facendolo crescere in una famiglia umana allargata. L’esperimento fallì. Pur allattato da una donna e cresciuto in mezzo agli uomini (che gli offrivano coccole, giochi e marijuana) Nim non riuscì a diventare umano: non imparò mai a combinare i segni, e ogni tanto mordeva a sangue amici e nemici.
Una volta concluso l’esperimento, Nim fu portato in un tetro centro di sperimentazione farmacologica, poi in un’oasi per animali maltrattati, dove rimase per anni solo e triste, finché qualcuno cercò di capire come aiutarlo a diventare se stesso. Usando con un protagonista animale le tecniche del racconto biografico, James March costruisce un documentario rigoroso e straordinario in cui i testimoni (un professore che ama le donne, le sue collaboratrici in lotta tra di loro, un inquieto sperimentatore su primati e un fan dei Grateful Dead) non smettono di pensare a lui chiedendosi quale sia la differenza tra uomini e animali, e finiscono per convincere lo spettatore che per diventare persone non è strettamente necessario essere umani.
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