Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano
Laterza, 308 pagine, 24 euro
Come riuscì l’Italia, il paese che aveva inventato il fascismo e che sosteneva la Germania nella demolizione dell’ordine europeo nato a Versailles, a rifarsi, alla fine della seconda guerra mondiale, un’immagine presso i suoi cittadini e sul piano internazionale? Certamente fu importante dare un risalto notevole alla Resistenza, ma anche, allo stesso tempo, scaricare tutta la responsabilità del male sull’alleato tedesco, costruendo per contrasto il racconto del “bravo italiano”.
Alla fine degli anni quaranta il racconto della ferocia germanica, che pure poggiava su basi solide, fu esaltato da gruppi diversi: gli antifascisti, che condannavano insieme fascisti e invasori; la destra, interessata a esaltare la differenza tra Hitler e Mussolini; e gli stessi fascisti repubblichini, pronti a metterla in rilievo per sottolineare la maggiore “umanità” dei soldati e dei civili italiani. Dopo che questa vulgata, diffusa dai ministeri della guerra e degli esteri per evitare di subire le stesse gravi ritorsioni che andavano colpendo i tedeschi, ebbe successo, fu perpetuata e trasmessa alle generazioni successive.
Studiando fonti diplomatiche e culturali, Filippo Focardi fa capire come, a differenza di quanto abbiano fatto tedeschi, giapponesi e anche gli alleati minori dell’Asse, gli italiani non abbiano mai elaborato una memoria delle loro responsabilità.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it