Roberto Della Seta ed Edoardo Zanchini, La sinistra e le città

Laterza, 97 pagine, 16 euro

C’è stato un tempo in cui la sinistra italiana considerava la città come una parte importante del suo programma politico. Fino alla metà degli anni ottanta, la mobilitazione di intellettuali di larghe vedute, spesso liberali, come Pannunzio o Cederna, produceva studi e proposte in cui si cercava di tenere insieme tutela del patrimonio, sviluppo ed esigenze abitative.

Qualche volta, grazie alla lungimiranza di alcuni sindaci del Pci, queste proposte si trasformavano in nuovi piani regolatori, piani di risanamento, politiche innovative. Poi qualche cosa è cambiato.

Mentre, insieme con lo smantellamento del welfare, terminavano le battaglie per l’equità degli affitti e gli italiani s’indebitavano per comprare casa, mentre andavano allentandosi i vincoli di protezione in molte aree e la privatizzazione degli spazi pubblici si faceva sempre più intensa, il centrosinistra ha cominciato a presentare il mattone come una delle poche strade per favorire la crescita economica, a tollerare abusi e condoni, a lasciare mano libera ai costruttori, diventando il “partito del cemento” e finendo – come spiegano in questo libro un architetto e un politico dirigenti di Legambiente – con il “ridurre l’urbanistica all’edilizia”.

Per risollevare la sinistra dalle macerie che questa e altre scelte hanno provocato, ricominciare a pensare alla città potrebbe essere una buona idea.

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