Paola Caridi, Gerusalemme senza Dio. Ritratto di una città crudele
Feltrinelli, 202 pagine, 16 euro
Che Gerusalemme sia la città delle tre religioni monoteiste lo sanno tutti. Che questa speciale concentrazione di santità renda così difficile la convivenza è un luogo comune che merita di essere rovesciato. Gerusalemme infatti è anche e soprattutto molto altro. È una città che dalla metà dell’ottocento ha cominciato ad attirare francesi, inglesi, russi, spinti dalla voglia di mettere le mani su un pezzo importante dell’impero ottomano in crisi. Ha dunque sperimentato modernità e cosmopolitismo, prima di venire divisa dalla linea verde del 1948 e di essere occupata, nel 1967.
Così è diventata terreno di conflitti internazionali, locali e anche interni allo stesso Israele, come quelli tra immigrati sefarditi e fondatori askenaziti, o, più di recente, tra laici e ultra-ortodossi. Durante ognuno di questi conflitti i vincitori hanno elaborato versioni parziali della storia della città e hanno fatto di tutto per seppellire nel paesaggio urbano le tracce di ciò che non era utile a legittimare i diritti di volta in volta invocati. In questo libro appassionante Paola Caridi cerca queste tracce nascoste, le riporta alla luce e le fa parlare con una scrittura ricca e sorvegliata.
Partendo da certi luoghi strategici (bellissimo il capitolo sul quartiere di Musrara) ci racconta la Gerusalemme della convivenza – che non è un sogno utopico, ma una città realmente esistita – e la sua distruzione.
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