Philippe Ridet, L’Italie, Rome et moi
Flammarion, 254 pagine, 18 euro
All’elenco sempre più nutrito delle opere riconducibili a quel malinconico genere letterario che resterà legato agli anni di Berlusconi e che si potrebbe chiamare “lamento sul declino dell’Italia”, si aggiunge ora questo memoir di Philippe Ridet, corrispondente a Roma per Le Monde.
Rispetto agli altri il suo racconto presenta un maggiore distacco autoironico e alcune intuizioni felici, frutto della capacità di leggere le persone e i contesti. Per esempio quando racconta il vittimismo che ormai caratterizza tutti gli italiani, indipendentemente dalla loro posizione: un sintomo che i sociologi dovrebbero prendere seriamente. Oppure quando descrive la speciale vergogna che molti italiani provano quando si parla del nostro paese.
O ancora quando spiega con onesta consapevolezza che c’è qualcosa di assurdo nell’insistenza con cui chiediamo ai giornalisti stranieri un’analisi approfondita dell’Italia, quando magari sono appena arrivati e non hanno ancora ben capito dove si trovano. Di fronte al grottesco italiano degli ultimi anni (Batman, il cerchio magico, il papagate, la Costa Concordia e, ovviamente, Lui), Ridet si mette a indagare, prova a capire, senza prendere posizione subito, tenta di considerare i diversi lati della faccenda, rendendosi conto tuttavia che – come gli spiega un amico al ristorante – alla fine, restando in Italia, finirà anche lui per “diventare complice”.
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