Olivier Roy, En quête de l’Orient perdu
Seuil, 314 pagine, 21 euro
Olivier Roy è uno degli studiosi che negli ultimi decenni ci ha fatto capire meglio come è nato e si è evoluto il movimento a cui diamo il nome di islamismo politico, nonché un grande raccontatore di aneddoti, spesso assurdi, paradossali e chiarificatori.
Questo libro-intervista apparso da poco in Francia permette di comprendere bene come i due aspetti coesistano in lui. Narra la sua vita a partire dal cruciale 1968, trascorso da provinciale in uno dei licei più prestigiosi di Parigi, fino alla scrittura di La Santa ignoranza (pubblicato in italiano da Feltrinelli 2009), l’analisi in cui si sostiene che la secolarizzazione ha isolato le religioni (tutte le religioni) dalla cultura dominante, da un lato facendo trionfare in vari contesti i movimenti più fondamentalisti, dall’altro diffondendo una generale paura della dimensione religiosa.
Tra questi due momenti risalta il ruolo fondamentale dei viaggi in Afghanistan compiuti tra gli anni settanta e soprattutto ottanta, prima come entusiasta esploratore che preferiva l’avventura esotica allo sballo fricchettone, poi come appassionato indagatore della guerriglia, infine come esperto e negoziatore. Nella costante convinzione che le analisi teoriche vadano sempre verificate sul terreno, attraverso la raccolta di dati, l’immersione nelle culture, il confronto serrato con ciò che sembra lontano e invece ci somiglia più di quanto non crediamo.
Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2015 a pagina 110 di Internazionale, con il titolo “La ragione degli albanesi”. Compra questo numero | Abbonati
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