Jón Kalman Stefánsson, Paradiso e inferno
Iperborea, 240 pagine, 16,00 euro
Viene dall’Islanda (duecentomila abitanti e ora molti turisti) questo romanzo insolito e convincente, scritto da un poeta, ex bibliotecario, due qualità che incidono sull’originalità della prosa e la conoscenza del passato, come se gli antichi canti ispirassero il racconto, tuttavia realistico e collocato alla fine dell’ottocento. Ma non conta la storia, lentissima, quanto la vita di allora, tra pescatori lontani dalla capitale e dall’Europa ma a esse obbligatoriamente collegati dal loro mestiere.
Si pensa al norvegese Knut Hamsun – senza il romanticismo e la rivolta – e certamente ad Halldór Laxness o al dimenticato Gunnarsson di Navi sul cielo (che scriveva in danese), ma Stefánsson affonda nel passato di vite dure, segnate dalla lotta con il mare.
Il piccolo mondo che egli riporta in vita ha al centro un adolescente che cresce nel confronto con la fatica, la morte in mare dell’amico più caro e l’attrazione della fine, ma anche con il destarsi del desiderio e del senso di appartenenza a una comunità. Con l’amore per la vita nonostante tutto. E per i libri, l’amore che ha tradito il suo amico morto a causa del Paradiso perduto di Milton. Il progetto è ridar vita ai morti, ai morti islandesi dimenticati, con la parola, con il libro. E per riuscirci occorreva una prosa ardita, intrisa di poesia.
Internazionale, numero 904, 1 luglio 2011
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