**Daniel Alarcón, Radio città perduta
Einaudi, 313 pagine, 20 euro
Daniel Alarcón, nato a Lima nel 1977, vive sin da ragazzo negli Stati Uniti, scrive in inglese, e in questo romanzo racconta, senza precisare l’ambiente ma in modo riconoscibile, il suo paese natale negli anni della feroce guerra civile tra l’esercito e Sendero Luminoso, qui chiamato Li invece che Sl. Bella l’idea di partenza: la guerra è finita e nell’unica radio della capitale la trasmissione più seguita è quella in cui Norma, la voce più amata dall’intero paese, legge l’interminabile lista degli scomparsi, che sono gli ascoltatori a fornire. L’uomo di Norma, Rey, è scomparso anche lui, forse nelle file della Li.
Un bel giorno le arriva in studio un ragazzino, Victor, emissario del suo villaggio senza nome, giunto nella città con il suo maestro, a consegnare una nuova lista. Tra un flashback e l’altro scopriamo che Victor è figlio di Rey e di una india e anche il destino di Rey, oppositore del regime ma guerrigliero riluttante. L’abilità della costruzione e l’interesse dello sfondo storico sono indubbi, ma siamo molto lontani dalla forza e dall’arte di Arguedas – il maggior scrittore peruviano del novecento, da riscoprire – e i primi romanzi di Vargas Llosa. Qui il melodramma politico è costruito ad arte per un pubblico internazionale piuttosto compiacente e ipocrita. Leggiamo e ammiriamo volentieri, ma con qualche sospetto.
Internazionale, numero 919, 14 ottobre 2011
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