Oreste Pivetta, Franco Basaglia, il dottore dei matti. La biografia
Dalai, 288 pagine, 17 euro
In queste calde giornate in cui molto si discetta di scrittori e intellettuali (il rito dei premi vede a confronto solo opere di saldo intrattenimento) è bene privilegiare un libro che, scritto con l’onestà e la perizia del buon giornalismo, qualità molto rare, riporta a un passato che continua a incombere, che non ha perso di attualità.
Nutre e sveglia il lettore ben più dei libri alla moda, la biografia dello psichiatra che, a partire dalla chiusura del manicomio di Gorizia, cambiò nel fatidico 1978 il modo di considerare i “matti” da cui derivò la famosa legge 180 (pochi giorni dopo l’assassinio di Moro), con un seguito di polemiche che ancora non si è placato.
Una storia che ha dell’epico, tale era l’orrore della condizione precedente (“crimini di pace”), e che più volte è stata narrata, anche nel cinema e in tv, ma che Pivetta colloca nel radicale riformismo della “lunga marcia attraverso le istituzioni” di una parte, piccola, del ‘68, legandola a nomi come Sartre e Foucault, Fanon e Guevara, Marcuse e Goffman, Laing e Cooper, don Milani e Maccacaro, ed esaltando un modello di intellettuale che crede nel fare più che nel dire, lontanissimo dalle chiacchiere e dalle recite dei giornalisti artisti professori dei nostri anni. Gran personaggio, Basaglia, la cui vicenda e le cui stesse (poche) contraddizioni dovrebbero ancora ammaestrarci.
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