Juan Rulfo, La pianura in fiamme
Einaudi, 162 pagine, 18 euro
Tornano con una nuova traduzione (la terza, mi pare, accompagnata dall’introduzione di Ernesto Franco, il suo maggior studioso in Italia) i 17 brevi racconti perfetti e indimenticabili del messicano Juan Rulfo (1918-1986), autore laconico e personaggio esemplare della letteratura latinoamericana del novecento. Con quelli di Finzioni di Borges, sono una tappa geniale nella storia del racconto, e non solo. Rulfo ha scritto un altro libro notevole, il romanzo breve Pedro Pàramo (1955), ha pubblicato un paio di sceneggiature, qualche racconto scartato dalla Pianura, qualche breve dichiarazione di poetica.
Ma forse nessuno ha penetrato l’anima degli indios messicani come lui, il loro rapporto con la natura e con una storia sempre nemica, la loro appartenenza a un paesaggio duro e concreto e il loro confondersi nelle cose, la loro appartenenza all’eterno (si legga anche il peruviano José Arguedas, I fiumi profondi, che ha spirito di etnologo e di testimone riconoscente). Di perfetta misura, di allusiva sinteticità, i piccoli grandi momenti che Rulfo privilegia sono quelli di un confronto con i nodi più profondi della condizione umana.
Fotografo e direttore dell’Istituto messicano degli studi sugli indigeni, ha cercato l’essenza della realtà, accostandocela, trasmettendoci il panico del mistero, del vero.
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