Aldo Busi, El especialista de Barcelona

Dalai, 370 pagine, 19 euro

“C’erano una volta gli altri”. Il novecento sta per essere sepolto, con i suoi “miliardi di girini che si credevano unici e insostituibili, che si credevano individui” e cadevano tutti “nella stessa amorfa salamoia telematica”, quando Busi va in trasferta a Barcellona (la prossima tappa, qui annunciata, sarà a Cracovia) per constatare che dovunque è la stessa musica, almeno in occidente.

In Spagna il suo io narrante trova l’ascolto di una foglia di platano sulle Ramblas, e si confronta con un’umanità tale e quale: “c’era una volta lo sconosciuto” e non c’è più, resta una mediocrità immedicabile. Il peggiore dei mali dell’uomo non è la cattiveria, ma la sua stupidità. E “la scoria siamo noi”, e chi sta dalla parte del “bene” deve stare attento, ché può essere oggi più dannoso del male. Busi mira alto, e racconta e commenta compiangendo e compiangendosi pochissimo (però non diventerà mai “un umanottero di rispetto”), con una spietatezza adeguata alla coscienza. Il quadro è agghiacciante.

Le citazioni vanno da Cervantes a Goya a Perez Galdos, le spagnole, ma le più interne sono gaddiane, genetiane e anche celiniane e si riverberano nello stile, nel flusso di coscienza che sfiora la logorrea, nelle divagazioni e nelle sconsolate invettive. La lettura è a tratti faticosa, ma il libro è importante, ed è tremendamente lucido.

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