Jim Thompson, Un uomo da niente

Einaudi, 250 pagine, 17 euro

Thompson è uno dei pochi eredi di Hammett che continuano a sorprenderci per la loro forza nel genere noir, intatta dopo tanti anni e a confronto con i successori e imitatori. Quel noir che aveva al centro la negazione: il fascino del crimine e diciamo pure della violenza e della morte che caratterizza la società, forse ogni società. Come il protagonista di Fiesta, l’aitante giornalista Brownie è rimasto ferito in guerra perdendo la sua virilità.

Cinico e sincero con se stesso, ironico e anche sferzante, ma con un fondo di immedicabile romanticismo e dolore, piace molto alle donne ma finisce per ammazzarle, è distruttivo e autodistruttivo fino all’estremo, in un mondo dove è il denaro a guidare il gioco ma senza poter coprire i bisogni primari, la solitudine di ognuno, variamente mascherata. Si capisce perché Thompson sia piaciuto così tanto a Kubrick e a Peckinpah, estremisti come lui nel loro confronto con le umane e sociali impossibilità e con le costrizioni che su di esse sono cresciute.

La nuova traduzione di Luca Briasco permette di godere della velocità e durezza di uno stile hard-boiled negato dal chiacchiericcio di noiristi del tutto privi di quel senso del tragico che veniva a Thompson dalla lettura dei tragici greci e forse di Céline, ma soprattutto dall’eseperienza diretta della bruttezza e della violenza del mondo. Con David Goodis, resta il primo dei noiristi, perché davvero il più “nero”.

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