Verso la fine degli anni cinquanta anche il Regno Unito ebbe la sua nouvelle vague, che aprì la strada alla swinging London dei Beatles e allo svecchiamento della cultura in teatro, letteratura e cinema.

Fu meno brillante e radicale sul piano delle forme di quanto non fosse stata quella francese, ma certamente più solida nel rifiuto del conformismo perbenista e classista. A dare il via furono i teatranti (John Osborne con Ricorda con rabbia, da cui l’appellativo collettivo di “giovani arrabbiati”, poi Arnold Wesker, Shelagh Delaney e il più geniale Harold Pinter) e i giovani scrittori, di origine proletaria e di rabbie più durevoli (Alan Sillitoe, John Wain, John Braine). Nel cinema, venuti dal documentario sociale, i nomi di punta furono quelli di Karel Reisz, Tony Richardson e Lindsay Anderson, nessuno dei quali resistette a lungo al richiamo del mainstream e del successo.

La rabbia si diluì e poi sparì, ma permise comunque, finché durò, alcuni film belli e coraggiosi: di Reisz Sabato sera, domenica mattina (da Sillitoe, su un giovane operaio che non si arrende, un grande Albert Finney), di Anderson Io sono un campione (su un minatore che il rugby può corrompere, un grande Richard Harris) e di Richardson Gioventù, amore e rabbia (ancora da Sillitoe, La solitudine del maratoneta, un grande Tom Courtenay), ora edito in dvd da Cineclub Classics.

Possiamo aggiungere, con la riserva di un mestiere già troppo astuto, La strada dei quartieri alti di Jack Clayton (da Braine, con un arrivista Laurence Harvey e una stupenda Simone Signoret da Oscar, sua vittima). Dei primi tre, i più “arrabbiati”, solo Richardson tenne botta per qualche anno. Dopo I giovani arrabbiati, tratto da Ricorda con rabbia, con Richard Burton, e dopo Gli sfasati, con Laurence Olivier, e Sapore di miele, con Rita Tushingham, vide il trionfo di Tom Jones, con Finney. Poi una precipitosa decadenza.

È la precisione nella descrizione degli ambienti e dei linguaggi a convincere

Il film del gruppo che regge meglio di tutti è ancora Sabato sera, domenica mattina, ma Gioventù, amore e rabbia lo segue a ruota. Entrambi adattano testi di Alan Sillitoe, riproposti da poco da minimum fax, e parlano di giovani proletari lontani da Londra. Entrambi sono storie di normale resistenza alle attrattive borghesi. Nel secondo, la scena è a Nottingham, polverosa città operaia, e nel carcere minorile del Borstal, reso celebre in letteratura da Brendan Behan che ne fu ospite.

Il protagonista è il giovane Colin Smith, poco più che adolescente. Nei flashback che guardano al suo recente passato vede la madre che tradisce il padre che va morendo di una malattia da fabbrica, vive la prima avventura amorosa, compie con un amico i primi atti di delinquenza.

Segnato, introverso e un poco beffardo

Nel presente del riformatorio si scopre ottimo corridore di fondo, lasciando sperare al direttore (Michael Redgrave, un grande che veniva dal cinema e dal teatro tradizionali) che possa vincere una gara con i ragazzi di un collegio perbene. Colin ci sta, ma alla fine, tra la fedeltà alla sua classe e l’ingresso nel mondo dello sport (e del denaro), fa la scelta giusta e, quando sta per tagliare il traguardo, si ferma pochi metri prima e lascia vincere un ragazzo del gruppo borghese.

Come nel romanzo di Sillitoe, è la precisione nella descrizione degli ambienti e dei linguaggi a convincere, e la giustezza dei volti, il modo di pensare e di reagire del protagonista. La fotografia di Walter Lassally colpì per il modo in cui colse il grigiore che circonda la vita di Colin, la musica di John Addison per la sua tonalità jazz, ma quel che conta è Tom Courtenay, una faccia che non è facile dimenticare, già segnata e di una introversione sofferta e un poco, sotto, beffarda. Ha una morale, questo film. Rivisto oggi non ci sembra più il capolavoro che ci sembrò a suo tempo, ma si vorrebbe avesse dei corrispettivi nel cinema dei nostri giorni.

Un racconto con rabbia dei giovani proletari e dei precari di oggi, così diversi rispetto a quando era ancora la fabbrica a formare la loro cultura e a nutrire la loro rivolta.

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