“Se Hitler invadesse l’inferno, metterei una buona parola per il diavolo davanti al parlamento”, disse Winston Churchill nel 1941 difendendo la sua decisione di considerare Stalin un alleato dopo l’invasione dell’Unione sovietica da parte della Germania nazista.

Se i fanatici dello Stato islamico in Iraq e Siria fossero davvero una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti, allora il presidente Barack Obama dovrebbe usare la stessa logica e trattare i governi di Siria e Iran come alleati. Ma non è così.

Il segretario di stato John Kerry ha appena terminato il suo giro di reclutamento in Medio Oriente, dopo aver coinvolto gli stati arabi e la Turchia nella nuova coalizione che dovrebbe “ridimensionare e distruggere” lo Stato islamico. L’obiettivo dovrà essere raggiunto senza il dispiegamento di soldati statunitensi sul terreno, perché l’opinione pubblica americana non vuole più saperne.

Gli Stati Uniti saranno ben felici di incaricarsi dei bombardamenti aerei se gli altri saranno disposti a morire sul campo. Il governo iracheno accetterà la proposta perché ha appena perso un terzo del suo territorio nazionale a beneficio dello Stato islamico. Il problema è che ci vorrà molto tempo per ricostruire l’esercito di Baghdad dopo il suo recente collasso. Tra gli altri alleati di Washington, gli unici disposti a morire per fermare gli islamisti sono i curdi.

La Giordania fornirà i servizi di intelligence. La Turchia impedirà agli aspiranti jihadisti di attraversare il suo confine con Siria e Iraq (attraverso il quale sono passate quasi tutte le nuove reclute dello Stato islamico), ma non permetterà agli Stati Uniti di usare le sue basi aeree. L’Egitto balbetta parole d’incoraggiamento, ma ha evitato ogni impegno concreto.

Quasi tutti gli stati del Golfo (inclusi Arabia Saudita e Kuwait) hanno promesso di interrompere i finanziamenti alle organizzazioni jihadiste in Siria da parte dei propri cittadini. Gli Emirati Arabi Uniti si sarebbero addirittura offerti di effettuare raid aerei contro lo Stato islamico, ma non intendono dare il via a una mobilitazione di massa né fornire truppe di terra.

Washington avrebbe a disposizione diversi alleati sul terreno, ma sono quelli sbagliati. L’esercito siriano combatte i jihadisti ormai da quasi tre anni, e dopo le sconfitte iniziali è riuscito a reggere il confronto ovunque tranne che nella zona orientale del paese, mentre in alcune zone sta riguadagnando territorio.

Poi c’è l’Iran, un paese grande e industrializzato con un esercito temibile. Teheran offre un appoggio fondamentale alle milizie sciite locali che hanno impedito allo Stato islamico di entrare a Baghdad in estate, e da anni garantisce un sostegno indispensabile al governo siriano.

Infine ci sono i curdi “sbagliati”. I curdi iracheni possono fare parte della coalizione perché hanno la loro regione autonoma e possono legittimamente aspirare agli aiuti militari occidentali. Invece i curdi del nordest della Siria e del sudest della Turchia, che hanno una grande esperienza di combattimento e hanno resistito all’onda d’urto dello Stato islamico, sono considerati terroristi da Washington e di conseguenza devono restare fuori.

Il governo statunitense non ha mai invitato questi importanti attori a entrare nella nuova coalizione, e ha coinvolto tutti in Medio Oriente tranne quelli che vogliono davvero sconfiggere lo Stato islamico sul campo.

Questo strano comportamento ha le sue ragioni. La sfiducia ossessiva degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran risale alla crisi degli ostaggi del 1979, ed è stata rafforzata dalla paranoia israeliana nei confronti di Teheran.

La Turchia darebbe in escandescenze se gli Stati Uniti cominciassero ad armare i ribelli curdi del Pkk, impegnati in una guerra lunga e sanguinosa (anche se attualmente in fase di recessione) con Ankara. Infine, per Obama sarebbe davvero difficile giustificare un accordo con il presidente siriano Bashar al Assad, lo stesso che un anno fa era pronto a bombardare.

Forse un esercito iracheno rinnovato riuscirà a cacciare lo Stato islamico fuori dal paese, anche se l’organizzazione gode di un ampio sostegno nelle aree sunnite, ma resta da capire dove Obama pensa di trovare le truppe che dovrebbero ricacciare i jihadisti oltre il confine siriano.

L’unica proposta del presidente è costruire un nuovo Esercito siriano libero composto da “moderati” che dovrebbero combattere su due fronti, per sconfiggere lo Stato islamico e per rovesciare Assad. Ma è un’idea impraticabile, perché l’Esl è stato quasi completamente fagocitato dai diversi gruppi jihadisti in Siria. La verità è che non c’è nessuna base su cui costruire.

Paradossalmente, questo nuovo Esl sarà addestrato in Arabia Saudita, che è stata il principale sostenitore e finanziatore dei gruppi jihadisti fino a quando l’aggressività dello Stato islamico non ha spinto Riyadh ad adottare un approccio più prudente.

A questo punto si potrebbe pensare che Obama non sia poi così preoccupato dalla minaccia strategica dello Stato islamico, e forse si potrebbe addirittura speculare che il presidente abbia imparato a non preoccuparsi troppo di ciò che accade in Medio Oriente. Ma di questo parleremo un’altra volta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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