Il primo round della battaglia per l’euro si è concluso, e l’ha vinto la Germania. In realtà a vincere è stata l’Unione europea, ma sono stati i tedeschi a stabilire la strategia. Tecnicamente, il problema è stato rimandato di quattro mesi prolungando il piano di aiuti già esistente, ma l’aspetto cruciale emerso negli ultimi giorni è che i greci non possono vincere, né ora né in futuro.
Il 25 gennaio Syriza ha conquistato il potere in Grecia promettendo di spazzare via l’austerità che ha trascinato un terzo della popolazione al di sotto della soglia di povertà e di rinegoziare il piano d’aiuti da 240 miliardi di euro concordato con l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale (Fmi). Gli elettori greci volevano solo porre fine a sei anni di dolore e privazioni, e Syriza gli ha offerto una speranza. Ma da allora non ha fatto altro che battere in ritirata.
Durante la campagna elettorale Syriza ha promesso 300mila nuovi posti di lavoro e un aumento sostanzioso del salario minimo (da 585 a 760 euro). Dopo le trattative della settimana scorsa con l’Ue e l’Fmi, tutto ciò che resta è la promessa di espandere l’attuale programma di impiego temporaneo per i disoccupati e un “progetto” di aumentare il salario minimo “nel tempo”.
La promessa di garantire elettricità e cibo gratis per le famiglie senza reddito è ancora valida, ma allo stesso tempo il governo del primo ministro Alexis Tsipras ha garantito all’Unione europea e all’Fmi che la sua “lotta contro la crisi umanitaria non avrà effetti negativi dal punto di vista fiscale”. In altre parole, Atene non investirà in questi progetti se prima non taglierà la spesa in altri settori.
Soprattutto, Syriza ha dovuto rimangiarsi la promessa di non prorogare il piano di salvataggio, e ha dovuto accettare un prestito ponte di 4 mesi sottoposto alle stesse, durissime restrizioni sulla spesa pubblica (anche se al governo greco è stato concesso di riscriverle a parole sue). Il prestito scadrà alla fine di giugno, subito prima della scadenza di più di sei miliardi di euro di obbligazioni.
Quindi ci aspettano altri quattro mesi di guerra d’attrito e poi un’altra crisi, da cui la Grecia uscirà nuovamente sconfitta. Atene perderà in parte perché non c’è motivo di concederle un trattamento speciale e in parte perché l’Unione europea non crede che i greci avranno il coraggio di uscire dall’euro.
Il peso del debito greco è spaventoso (più di 25mila euro per abitante). Non potrà mai essere ripagato, e alla fine dovrà essere cancellato o “rinviato” a un futuro indefinito. Ma di sicuro non ora, in un momento in cui altri paesi dell’euro come la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda stanno cercando (con qualche successo) di ripagare il loro debito, sostanzioso, ma inferiore a quello greco. Se la Grecia ottenesse un trattamento speciale, lo pretenderebbero anche gli altri.
La causa dell’accumulo del debito è la stessa in tutti i casi: l’euro era una moneta stabile e a basso interesse che le banche erano ben felici di prestare, anche a paesi europei a basso reddito e nel bel mezzo di un boom insostenibile perché chiaramente alimentato dall’accumulo di debito. E così tutti i paesi meridionali dell’Ue (più l’Irlanda) hanno accumulato debiti. Ma nessuno l’ha fatto tanto quanto la Grecia.
Il boom greco è durato per gran parte del primo decennio di vita dell’euro, a partire dal 1999. I greci di classe media acquistavano auto tedesche, vini francesi, prodotti di lusso italiani e quant’altro, mentre i ricchi e le persone con legami politici ammassavano patrimoni pagando pochissime tasse. Alla fine i governi greci sono stati costretti a mentire sulle dimensioni del debito pubblico.
Il ministro delle finanze del nuovo governo, Yanis Varoufakis, ha descritto in modo impietoso l’atmosfera di quel periodo: “I cittadini comuni si erano convinti che la Grecia fosse in cima al mondo. Grazie alla nostra straordinaria astuzia la Grecia riusciva a combinare divertimento, sole, xenýchti (notti brave) e la più alta crescita del pil in Europa”. Poi nel 2008 è crollato tutto, e “l’autocommiserazione si è sostituita all’esaltazione, ma la presunzione è rimasta al potere”, conclude Varoufakis.
È per questo che gli altri paesi dell’Ue sono poco solidali con la Grecia. Inoltre l’Europa (a cominciare dalla Germania) si è convinta che l’uscita della Grecia dall’euro non sarebbe un disastro. Gli altri Pigs (Portogallo, Italia e Spagna) sono in condizioni finanziarie molto migliori, e Bruxelles non ha più paura che il contagio della Grecia possa diffondersi agli altri paesi del Mediterraneo. L’Europa non crede più che l’uscita della Grecia possa far crollare l’intero edificio della moneta unica, e sa bene che la stragrande maggioranza dei greci non vuole lasciare l’euro o l’Ue. Per questo gioca duro.
Il 24 febbraio, al momento di rendere pubblico l’accordo provvisorio, Alexis Tsipras ha cercato di fare buon viso a cattivo gioco annunciando che la Grecia “ha vinto una battaglia ma non la guerra”. In realtà Atene ha perso la prima battaglia, com’era prevedibile. Ci vorrà del tempo prima che perda l’intera guerra, ma probabilmente è un risultato inevitabile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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