Il 31 agosto il tribunale superiore elettorale del Brasile ha stabilito che l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva non potrà essere candidato alle elezioni presidenziali del prossimo ottobre. Lula è stato presidente per due mandati consecutivi (dal 2003 al 2011), aspettando pazientemente il suo turno nei due successivi, fino a quando il suo partito, il Partito dei lavoratori (Pt, sinistra), lo ha nuovamente scelto come candidato presidenziale nel 2018.

I sondaggi gli attribuiscono il 39 per cento delle intenzioni di voto, più del doppio di qualsiasi altro candidato. Tuttavia l’ex presidente è in prigione nella città di Curitiba, nel sud del paese, dove sta scontando una condanna di dodici anni per corruzione. Non uscirà a breve. La cattiva notizia è che probabilmente è colpevole, non del reato specifico per il quale è stato condannato, ma di altri tre capi d’imputazione per cui è ancora indagato: riciclaggio di denaro, abuso d’ufficio e intralcio alla giustizia.

L’attuale condanna di Lula si basa sulla testimonianza di un dirigente di una gigantesca società di costruzioni, che sostiene di aver dato all’ex presidente un attico di lusso in una località balneare in cambio di un ricco contratto con l’azienda petrolifera di stato Petrobras. Il dirigente, accusato a sua volta di corruzione, ha rivolto a Lula queste accuse mentre stava patteggiando. Non esistono documenti che provino il legame tra Lula o la sua defunta moglie e l’appartamento, né esiste alcuna prova che essi abbiano trascorso del tempo lì.

Gli ultimi otto anni sono stati terribili per il Brasile, sia economicamente sia politicamente

Ma ci sono molte prove del fatto che Lula si sia dedicato ad altri tipi di losche raccolte fondi, non per suo vantaggio personale, ma per garantirsi la cooperazione di altri partiti nel congresso brasiliano, dove siede una schiera di partitini e dove il Pt non ha mai avuto la maggioranza. La cosa era illegale, ma era anche una pratica politica assolutamente consueta quando Lula è diventato presidente nel 2003. Lula ha quindi nominato alcuni membri del Pt come dirigenti esecutivi della Petrobras e di altre aziende statali.

Questi dirigenti hanno richiesto delle tangenti alle aziende che desideravano ottenere contratti con Petrobras o le altre, consegnando il denaro al Pt, che ha poi distribuito buona parte di esso ai piccoli partiti in parlamento in cambio dei loro voti.

È così che Lula ha fatto approvare programmi radicali come la bolsa família, un contributo regolare ai brasiliani poveri (a patto che i loro figli avessero un tasso di frequentazione scolastico dell’85 per cento e ricevessero tutte le vaccinazioni), che ha fatto uscire dalla povertà 35 milioni di brasiliani.

L’economia del Brasile ha conosciuto un boom e quando Lula ha lasciato il potere nel 2011, con un tasso d’approvazione dell’83 per cento, i brasiliani erano più ricchi e il tasso di disuguaglianza era ai minimi.

Un’operazione giudiziaria
La sua delfina Dilma Rousseff ha vinto le elezioni, ma poi i prezzi delle materie prime mondiali sono crollati, l’economia brasiliana è andata in crisi e la disoccupazione è aumentata. Rousseff è riuscita a farsi rieleggere con difficoltà alle elezioni del 2015, ma poi nel 2016 è stata messa in stato d’accusa per non aver rivelato con esattezza le dimensioni del debito pubblico. Non era un’infrazione grave, ma all’epoca la presidente era così impopolare che nessuno ne ha davvero sentito la mancanza.

Il suo vicepresidente, Michel Temer, un politico profondamente corrotto di un altro partito politico, ha sostituito Rousseff per tutto il resto del suo mandato, ma anche lui sarà sicuramente arrestato, se perderà l’immunità che gli deriva dal ricoprire un’alta carica politica. La realtà è che metà degli attuali membri del congresso verrebbero arrestati qualora perdessero l’immunità parlamentare. Il motivo è l’inchiesta anticorruzione chiamata lava jato (autolavaggio).

Gli ultimi otto anni sono stati terribili per il Brasile, sia economicamente sia politicamente, ma l’operazione lava jato ha dato una vera speranza per il futuro. È un’immensa operazione di polizia e giudiziaria, partita dalla città di Curitiba (chiamata la “Londra del Brasile”, per la sua apparente incorruttibilità), che prende di mira sia i politici corrotti sia gli uomini d’affari che pagano per i loro servigi.

Il fatto ironico, per Lula, è che lava jato deve il suo successo a due fondamentali riforme del governo di Dilma Rousseff. Una è quella che ha reso le prove ottenute tramite patteggiamento valide durante i processi. L’altra è stata quella di nominare un procuratore generale davvero indipendente, così come dei giudici e dei pubblici ministeri autonomi che hanno mandato diligentemente in prigione Lula anche se magari condividevano le sue politiche.

“Rousseff ha sempre sottovalutato lava jato”, secondo Delcídio do Amaral, l’ex capogruppo del Pt al senato federale che oggi, dopo essere stato arrestato, è impegnato in un complesso patteggiamento, “perché pensava che avrebbe potuto colpire tutti tranne lei. Pensava che l’avrebbe resa più forte”. E invece ha distrutto Lula.

Quindi cosa succederà ora? Il Pt ha dieci giorni per nominare Fernando Haddad, l’uomo scelto da Lula ed ex sindaco di São Paulo, candidato del partito alle elezioni presidenziali del 7 ottobre. Ma è improbabile che Haddad possa ottenere tutti i voti che sarebbero andati a Lula. Questo potrebbe spianare la strada a un candidato outsider come Jair Bolsonaro, un redivivo aspirante Trump che disprezza le donne, i neri e gli omosessuali. La strada per l’inferno (o comunque per una destinazione piuttosto sgradevole) è spesso lastricata di buone intenzioni.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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