È stato suggerito che Boris Johnson (che diventerà nuovo premier del Regno Unito) sia quello che sarebbe diventato Donald Trump se avesse studiato a Eton e a Oxford. Forse è vero, anche se rimane un grosso divario tra la scoppiettante autopromozione di Trump e la personalità autoironica e piuttosto caotica di Johnson.
Esiste una cosa chiamata stile nazionale, e i trucchetti di Trump fallirebbero nel Regno Unito in maniera tanto spettacolare quanto quelli di Johnson fallirebbero negli Stati Uniti. Ma a parte le questioni di stile, i due uomini sono quasi identici.
Sono entrambi dei bugiardi inveterati e senza vergogna. Sono entrambi quello che le persone normali e gli esperti definiscono “sociopatici”: uomini (perlopiù sono di sesso maschile) che accumulano mogli, fidanzate e figli nel corso della loro vita, ma non stringono mai veri legami affettivi con nessuno. E nessuno di loro ha un vero obiettivo politico.
Richiami assordanti
Sono piuttosto bravi a vincere, e prendono di mira gli stessi settori dell’elettorato: persone più anziane e meno istruite, spaventate per il loro futuro economico, e spesso razziste. Alcuni di quelli che li sostengono non sono nessuna di queste cose, naturalmente, ma è innegabile che entrambi corteggiano i nazionalisti bianchi. I richiami che lanciano in tal senso sono assordanti.
Ciò che manca decisamente a Trump e Johnson è una serie di obiettivi che vadano oltre la semplice vittoria e il mantenimento del potere. La determinazione di Trump nell’eliminare ogni traccia dell’eredità di Obama (sanità pubblica, accordo con l’Iran, e così via) fa sì che abbia una sorta di programma politico, ma tutto in chiave negativa. Boris Johnson non ha neanche questo. Il suo unico ruolo nella politica britannica è salvare il Partito conservatore rendendo possibile la Brexit.
L’elettorato conservatore è perlopiù favorevole alla Brexit, ma è così arrabbiato che sta scegliendo il Partito della Brexit di Nigel Farage
Johnson non sarebbe a Downing street oggi se due mesi fa non ci fossero state le elezioni per il parlamento europeo, ma il Regno Unito ha dovuto votare perché ancora non era uscito dall’Unione europea nonostante due rinvii.
Le elezioni europee, tuttavia, hanno dato agli elettori britannici l’opportunità di esprimere le loro opinioni sulla Brexit, e sono state catastrofiche per i conservatori. In generale il voto è risultato diviso quasi perfettamente tra partiti favorevoli e contrari alla Brexit, ma i conservatori sono arrivati addirittura quinti, dietro i Verdi e superando di poco il Monster raving loony party.
Questo ha scatenato il panico nel quartier generale dei conservatori. Il loro elettorato tradizionale è perlopiù favorevole alla Brexit, ed è così arrabbiato con il proprio partito per non essere riuscito a portare a termine la missione, a tre anni esatti dal referendum, che lo sta abbandonando per il neonato Partito della Brexit di Nigel Farage. Se si votasse oggi, nel Regno Unito i conservatori verrebbero spazzati via, e dato lo stallo in parlamento, un nuovo scrutinio appare probabile.
E quindi, dov’è Boris quando ce n’è bisogno? Certo, è pigro, inetto, follemente ambizioso, senza princìpi e propenso a fare grandi errori, ma è assolutamente necessario motivare le truppe ed è lui il più amato.
Promesse di negoziato
Johnson ha generosamente accettato di aiutare il partito che ha scaricato senza tante cerimonie la premier Theresa May, scatenando una corsa che lui era destinato a vincere. Questo ne fa automaticamente il nuovo primo ministro, ma potrebbe essere anche l’ultimo di un regno effettivamente unito.
Johnson potrebbe farcela solo portando il regno Uniti fuori dell’Ue entro il 31 ottobre. Oggi giura che otterrà un accordo di uscita migliore di quello negoziato con Theresa May (che il parlamento ha rifiutato di convalidare per tre volte), ma l’Ue sostiene che non è possibile alcun nuovo negoziato. Potrebbe ricorrere al rimedio nazionale, ovvero alzare la voce in inglese, ma difficilmente funzionerebbe.
La posta in gioco è alta, e include la sopravvivenza di un’unione tricentenaria
Se non dovesse farcela, sostiene che porterà comunque il Regno Unito fuori dell’Ue, senza un accordo. La cosa avrebbe gravi conseguenze economiche per la popolazione britannica, ma per i più accaniti sostenitori della Brexit si tratta di un piccolo prezzo da pagare per uscire da un’organizzazione che detestano. Metà della popolazione britannica è contraria, e addirittura due terzi degli scozzesi hanno votato per restare.
Se un governo perlopiù inglese porterà il Regno Unito fuori dell’Unione europea e nella miseria economica, allora gli scozzesi decideranno probabilmente di lasciare il regno e rimanere nell’Ue. Il Partito nazionale scozzese promette già un nuovo referendum sulla questione.
Quel che accadrà in Irlanda del Nord con un’uscita senza accordo dall’Ue e un “confine duro” tra il nord e la Repubblica irlandese è più difficile da prevedere. Potrebbe ricominciare l’epoca delle bombe e della violenza, oppure potrebbe esserci un referendum dall’esito incerto su un’Irlanda unita. Oppure, come è auspicabile, accadrà qualcosa di meno drammatico. Ma di sicuro le cose cambieranno.
La posta in gioco è quindi alta, e include la sopravvivenza di un’unione tricentenaria, e l’uomo al comando è tutto fuorché una garanzia di successo. “Boris è la vita e l’anima del partito, ma non è l’uomo che vorresti che ti riaccompagnasse a casa alla fine della serata”, ha detto recentemente la ministra per l’energia, Amber Rudd.
Se il parlamento impedirà a Johnson di concludere una Brexit senza accordo, naturalmente, niente di tutto questo accadrà. Ma non c’è alcuna certezza che il parlamento riesca a farcela. I britannici vivono tempi interessanti.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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