Ci sarà una nuova guerra fredda con la Cina? Probabilmente no. Prendete il caso Huawei. Il 21 luglio il segretario di stato americano Mike Pompeo è piombato a Londra come un Darth Vader sovrappeso, mentre il suo satrapo locale, Boris Johnson, aspettava nervosamente di essere giudicato a Downing street. Alcuni testimoni hanno giurato di aver sentito il fruscio del mantello di Pompeo mentre questi varcava la porta d’ingresso. Ma tutto è finito bene: il primo ministro britannico ha fatto abbastanza per compiacere il suo signore.
L’argomento in questione era la Huawei, l’azienda di telecomunicazioni cinese che ha venduto i suoi dispositivi in tutto l’occidente perché non esistono prodotti occidentali analoghi a prezzi competitivi.
Quindi gli Stati Uniti hanno reagito a livello politico, non commerciale: hanno chiesto ai loro alleati di mettere al bando Huawei per “motivi di sicurezza”.
Gli Stati Uniti hanno lanciato il primo attacco alla fine del 2018, quando hanno fatto pressioni sul Canada perché arrestasse Meng Wanzhu, la direttrice finanziaria di Huawei, che stava prendendo una coincidenza in un aeroporto canadese mentre era diretta in Messico. Oggi Meng è ancora in Canada e lotta per evitare l’estradizione negli Stati Uniti, mentre due canadesi sono in prigione in Cina, di fatto come ostaggi nella trattativa per il rilascio della donna. All’inizio Meng era accusata di aver violato le sanzioni contro l’Iran, ma ora le viene imputato anche di aver rubato segreti commerciali statunitensi.
Doppio gioco britannico
Il Regno Unito aveva concesso alla Huawei un ruolo importante nella costruzione della sua rete 5g molto prima che Johnson arrivasse al potere. Ma il premier è rimasto fedele all’accordo – nonostante le pressioni sempre più insistenti degli Stati Uniti per cancellarlo –, perché sta portando il suo paese fuori dall’Unione europea verso quello che potrebbe essere un futuro molto cupo.
Più di metà degli scambi commerciali del Regno Unito avviene con l’Europa, ma un accordo di libero scambio tra le due parti dopo l’uscita di Londra dall’Unione appare sempre più improbabile. Solo gli Stati Uniti e la Cina possono riempire una parte di quel vuoto, e per questo Johnson voleva disperatamente mantenere entrambe le opzioni aperte. Washington, naturalmente, desiderava che rinunciasse all’opzione cinese.
Johnson è rimasto arroccato sulla sua posizione per tutto lo scorso anno, anche perché i servizi segreti britannici gli hanno assicurato che la tecnologia della Huawei non costituisce una minaccia, ma con il passare del tempo la pressione degli Stati Uniti si è fatta insostenibile. Alla fine il governo britannico ha escluso la Huawei dalla costruzione della rete 5g, e ha deciso che tutti i dispositivi forniti dall’azienda nelle reti 2g, 3g e 4g dovranno essere rimossi entro il 2027.
Solo pochi giorni dopo, tuttavia, i funzionari britannici hanno fatto discretamente sapere a Huawei che non tutto era perduto. Il Regno Unito, hanno detto, potrebbe rivedere la sua decisione il prossimo anno. Nessuno ha detto esplicitamente “dopo le elezioni presidenziali statunitensi”, ma naturalmente Londra sarebbe felice di riaccogliere la Huawei se Donald Trump fosse sconfitto a novembre (come oggi appare piuttosto probabile).
La notizia è arrivata a Washington in un nanosecondo (quando impareranno che nel mondo delle comunicazioni odierne qualunque cosa dici a chiunque diventa subito nota a tutti?). Johnson era quindi comprensibilmente in ansia mentre aspettava l’arrivo del viceré statunitense. Cioè, del segretario di stato.
Ma tutto è andato liscio con Pompeo. Johnson tradirà Trump solo se perderà le elezioni, e Trump non perderà le elezioni perché darà inizio a una nuova guerra fredda. Questo è il suo piano. Ma non funzionerà.
La Cina è un formidabile avversario economico, ma non è interessata a uno scontro militare classico
Non funzionerà perché nessuno degli alleati degli Stati Uniti, neppure uno disperato come Johnson, crede che la Cina sia una minaccia tale da giustificare quarant’anni di confronto militare. E neanche cinque anni di rivalità.
Non ignorano i problemi del regime cinese. È una dittatura crudele e corrotta, che non tollera il dissenso e opprime le minoranze. Ma non ha mire espansionistiche, se non nelle sue immediate vicinanze (Hong Kong, Taiwan, Mar cinese meridionale) e non è ideologicamente attraente nemmeno per i suoi cittadini.
L’unico strumento ideologico a disposizione del presidente Xi Jinping è il nazionalismo. È disposto a usarlo per difendere il suo potere, proprio come sta facendo Trump oggi, ma per giustificare una guerra fredda serve un senso di minaccia più credibile di quello disponibile oggi a entrambe le parti.
L’idea che la Cina sia “la minaccia principale dei nostri tempi”, come ha detto Pompeo il 21 luglio, è ridicola. Si tratta di un formidabile avversario economico (anche se a livello demografico ha i piedi d’argilla), ma semplicemente non è interessato a uno scontro militare classico.
A Pechino non interessa, per esempio, mantenere una forza nucleare strategica lontanamente paragonabile a quella statunitense o russa. Ritiene sinceramente che la deterrenza nucleare renda quel genere di conflitto folle, e possiede un numero di missili appena sufficiente a scoraggiare un aggressore fuori di testa. La disputa alla frontiera con l’India è remota e di poco conto, e nessuna delle due parti permetterà che ci sia un’escalation.
Le altre grandi potenze, compresa l’Unione europea, semplicemente non credono alla visione Trump-Pompeo di un mondo diviso in due blocchi ostili e militarizzati, come nel periodo tra il 1945 e il 1989. Neanche Boris Johnson, nonostante le sue pretese da piccolo Churchill, la prende sul serio, e dopo averla assecondata ha subito cercato di non mettere tutte le uova in quel paniere.
“Non difendete Trump: attaccate la Cina!”, dicevano le istruzioni inviate ai candidati repubblicani al senato. Ma la cosa non funziona al di fuori degli Stati Uniti. E probabilmente presto non funzionerà neanche al loro interno.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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