La Norvegia vuole isolare la sua rete elettrica dal resto dell’Europa perché pensa che i collegamenti con i sistemi di altri stati del continente siano la causa dei recenti rialzi dei prezzi dell’elettricità nel paese. In particolare, spiega il Financial Times, i due partiti al governo a Oslo, il Partito laburista e il Partito di centro, vogliono eliminare la connessione con la Danimarca nel 2026, quando scadrà il contratto. I centristi, inoltre, hanno messo in discussione anche i collegamenti con il Regno Unito e la Germania.
Il problema principale è che la Norvegia produce elettricità abbondante e a basso costo nel nord del paese, che non è densamente abitato a differenza del sud, dove invece ci sono i centri più popolosi e le principali attività economiche; anche a causa di linee di trasmissione interne poco efficienti, una parte del fabbisogno – il 10 per cento circa – è soddisfatta con l’elettricità prodotta grazie all’energia eolica e a quella solare in Danimarca, Germania e Regno Unito; fino a quando c’è vento e sole non ci sono particolari problemi, ma nei giorni di poco vento in Germania e nel mare del Nord la riduzione dell’elettricità prodotta con le rinnovabili provoca forti rialzi dei prezzi, perché l’offerta viene compensata ricorrendo alle vecchie centrali a gas; i prezzi salgono e l’effetto si trasmette in Norvegia.
È per questo che all’inizio di dicembre nel sud del paese scandinavo il costo dell’elettricità ha raggiunto le 13,1 corone (1,1 euro) per kilowattora, il livello più alto dal 2009 e quasi venti volte di più rispetto alla fine di novembre. Il ministro dell’energia, il laburista Terje Aasland, ha detto senza mezzi termini che “si tratta di una situazione disastrosa”.
Le dichiarazioni dei politici risentono del fatto che il paese è già in campagna elettorale, visto nel settembre del 2025 si voterà per il rinnovo del parlamento e che i sondaggi danno in calo la coalizione al governo e prevedono l’arrivo al potere di un esecutivo di centrodestra. Nel frattempo i paesi vicini sono diventati un comodo capro espiatorio per giustificare i rialzi nella bolletta della luce elettrica, magari senza accennare al fatto che negli ultimi anni i consumi norvegesi sono aumentati in modo esponenziale, per esempio perché ormai nel paese scandinavo – il primo caso al mondo – l’auto elettrica si è imposta definitivamente su quella con motore a combustione.
Molti norvegesi ritengono che Oslo dovrebbe mandare all’estero la sua abbondante elettricità ricavata dall’energia idroelettrica solo dopo aver assicurato prezzi bassi all’interno. Oggi, però, le forniture norvegesi permettono ai paesi dell’Unione europea (ne abbiamo parlato qui) di equilibrare i prezzi dell’energia in tutto il continente. Il paese scandinavo ha ormai un ruolo centrale nei piani energetici di Bruxelles, visto che è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e ha sostituito la Russia in molti paesi dell’Unione europea come principale fornitore di gas.
Questa solida alleanza ora rischia di essere rovinata dalla tempesta politica sorta intorno al caro bollette. Il Partito del progresso, una formazione di destra in testa nei sondaggi, è stato il primo a proporre l’eliminazione dell’interconnettore con la Danimarca e la revisione degli accordi con il Regno Unito e la Germania, con l’obiettivo di impedire “il contagio dei prezzi alti”.
Il Partito del progresso vuole inoltre che il governo paghi il costo dell’elettricità per la parte che supera una soglia minima, sostenendo che sarebbe il modo migliore per distribuire i miliardi di corone incassati dallo stato grazie allo sfruttamento dell’energia idroelettrica. Già oggi, in realtà, il bilancio pubblico si fa carico del 90 per cento del costo dell’elettricità superiore a 0,92 corone, ma la misura vale solo per le famiglie. Non sono incluse le aziende, che subiscono i rincari e li scaricano sui servizi e i prodotti venduti ai norvegesi. Le uniche a fare festa sono le aziende che vendono energia.
La situazione ha radici lontane nel tempo ed è frutto anche di decisioni politiche, spiega il quotidiano Aftenposten. Da decenni la Norvegia e gli altri paesi europei dispongono di interconnettori tra le rispettive reti elettriche per stabilizzare l’offerta di energia: quando un paese ha un’eccedenza, la esporta per aiutare chi è in deficit; un ulteriore obiettivo è ampliare l’uso dell’energia prodotta con le rinnovabili e quindi favorire la decarbonizzazione. Il sistema ha funzionato bene a lungo, almeno fino a quando non sono intervenute alcune scelte strategiche e non è cambiato il quadro internazionale.
Prendiamo il caso della Germania: qui negli ultimi anni sono state spente le centrali nucleari e gran parte di quelle alimentate con il carbone, puntando con decisione sulle rinnovabili; quando ci sono sole e vento, la scelta si rivela senza dubbio vincente; ma se in Germania non c’è vento, fa molto freddo e le giornate si accorciano, cioè se arriva la cosiddetta Dunkelflaute (calma buia), l’energia rinnovabile non è sufficiente e allora vengono attivate le vecchie centrali elettriche a petrolio e le turbine a gas, inefficienti e costose. A questo bisogna aggiungere che attualmente alcune centrali idroelettriche norvegesi sono ferme per manutenzione. Questi impianti sono importanti anche per il fabbisogno di elettricità della Danimarca e del Regno Unito.
La sensazione dell’opinione pubblica norvegese, aggiunge l’Aftenposten, è che “il governo stia facendo un regalo agli altri europei, inviandogli elettricità e soprattutto gas. Il gas è senza dubbio molto importante per i nostri vicini. Ma non è per gentilezza che la Norvegia vende energia, lo fa perché è un ottimo affare: la guerra della Russia in Ucraina e la successiva chiusura dei gasdotti di Mosca l’hanno reso estremamente redditizio. Gli europei sono contenti del gas norvegese, ma sanno chi riempie di soldi il fondo sovrano di Oslo”. La proposta di togliere gli interconnettori può diventare un momento decisivo nelle relazioni tra l’Unione europea e la Norvegia. C’è in gioco la sicurezza delle forniture di energia, e “non è un atto di buon vicinato l’idea di tagliare i cavi”, anche perché è nell’interesse della Norvegia stringere legami più forti con l’Unione europea.
Intanto anche in Svezia ci sono problemi simili. All’inizio di dicembre a Göteborg, nel sud del paese, l’elettricità costava 190 volte di più rispetto a Luleå, una città del nord. Nella Svezia settentrionale si produce abbondante energia a prezzi molto bassi, ma gran parte di questa viene consumata nel sud, dove si concentrano le grandi città svedesi e si trovano gli impianti delle aziende più importanti. Ebba Busch, la ministra dell’energia, ha criticato la Norvegia, sostenendo che è “un momento triste per l’Europa se un paese aperto e progressista dice che non vuole far parte del sistema energetico interconnesso”. Allo stesso tempo, però, Busch ha detto che Stoccolma potrebbe sospendere il progetto di un nuovo interconnettore da 700 megawatt con la Germania se “Berlino non mette in ordine il suo sistema” e smette di attirare troppa energia a basso costo dall’estero.
La ministra ha puntato l’indice contro la decisione tedesca di uscire dal nucleare in seguito al disastro giapponese di Fukushima nel 2011, ricordando che anche la Svezia aveva preso una decisione simile ma poi era ritornata sui suoi passi. Certo, anche Stoccolma dovrebbe rivedere il suo sistema: il paese scandinavo ha pessime reti di trasmissione interne, probabilmente il vero motivo per cui a Göteborg l’elettricità costa molto di più che a Luleå. Ma in ogni caso è evidente che l’Unione europea deve correggere l’intero sistema continentale: l’Acer, l’autorità europea dell’energia, ha dichiarato che entro il 2050 i costi della rete elettrica europea potrebbero raddoppiare e ha aggiunto che le bollette rischiano di diventare insostenibili per i consumatori man mano che il carico di lavoro richiesto alle reti aumenta.
Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.
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