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Cinque grafici dicono che l’Erasmus è la cosa giusta da fare 

Jeremy Woodhouse, Getty Images

All’epoca non c’era internet, non c’erano i voli economici, non c’era Skype e nessuno sapeva bene cosa aspettarsi da un’esperienza del genere. Eppure già nel 1987, anno in cui nacque il programma Erasmus, 3.244 giovani pionieri trovarono il coraggio di fare le valigie e partire per trascorrere alcuni mesi in un’università all’estero.

Oggi il programma coinvolge 33 paesi e ha fatto partire più di tre milioni di studenti, docenti, personale universitario e neolaureati, l’equivalente della popolazione di Berlino o Madrid. Numeri che rendono l’Erasmus il più grande programma di mobilità per studenti del mondo e uno dei maggiori successi del progetto unitario europeo.

Un successo dettato anche dalle conseguenze dell’Erasmus sulla vita di chi decide di farlo. Chi parte, torna con un bagaglio di esperienze, competenze e relazioni che va ben oltre l’apprendimento di una lingua e una serie di ricordi indimenticabili. Chi parte per l’Erasmus vede la propria esistenza cambiare a livello professionale, sociale, culturale, affettivo e nel segno della costruzione di un’Europa più unita. A dimostrarlo è uno studio della Commissione europea che ha preso in esame 78mila persone e ha misurato l’impatto dell’Erasmus nella vita di chi decide di partire.

1) L’Erasmus riduce il rischio di disoccupazione

Chi ha fatto l’Erasmus e cerca lavoro ha un vantaggio su chi non lo ha fatto. In generale, circa i tre quarti di coloro che si laureano in Europa trovano un primo impiego entro tre mesi dalla laurea; però chi fa l’Erasmus, a un anno dalla laurea, ha la metà delle possibilità di essere disoccupato rispetto a chi non lo fa. Nello studio si legge anche che, cinque anni dopo il completamento degli studi, il tasso di disoccupazione tra gli ex Erasmus è più basso del 23 per cento rispetto agli altri.

2) L’Erasmus aiuta a trovare lavoro in un ambiente internazionale

Chi fa l’Erasmus ha più probabilità di lavorare in un ambiente internazionale. Il sondaggio della Commissione europea tra studenti che hanno fatto l’Erasmus e studenti che non hanno aderito a nessun programma di mobilità mostra che chi ha passato almeno un semestre all’estero tende a lavorare in un ambito internazionale. Circa il 69 per cento di chi ha trascorso un periodo all’estero ha un impiego con caratteristiche internazionali, contro il 64 per cento di chi non è mai partito.

3) L’Erasmus rafforza la fiducia in se stessi

La ricerca ha messo a fuoco sei tratti della personalità: adattabilità nei confronti di altre culture, apertura verso nuove esperienze, sicurezza in se stessi, capacità di decisione e abilità nel risolvere problemi. Lo studio conclude che chi torna dall’Erasmus in media è più sicuro nel creare buoni rapporti lavorativi e interpersonali.

4) L’Erasmus ci fa apprezzare di più l’Europa

Stefan Wolff, un professore di scienze politiche dell’università di Bath, nel Regno Unito, vede nella “generazione Erasmus” il futuro dell’Europa. “Diamogli 15, 20 o 25 anni”, dice Wolff, “e quando questa generazione entrerà nei centri di comando – sia a Bruxelles sia negli stati nazionali – l’Europa cambierà”. Grazie all’Erasmus “per la prima volta nella storia assistiamo alla nascita di un’identità veramente europea”, spiega il professore, “e per quanto oggi possa sembrare difficile, vedo nel futuro un’Unione europea più unita”.

5) L’Erasmus fa innamorare

Chi va in Erasmus ha buone possibilità di cominciare una relazione sentimentale. Le probabilità di avere un o una partner di un’altra nazionalità sono tre volte più alte per chi parte (33 per cento) rispetto a chi non lo fa (13 per cento). Quasi un terzo – il 27 per cento – del campione intervistato dalla Commissione europea ha cominciato una relazione duratura mentre studiava all’estero. Sulla base di ciò, secondo le stime della Commissione europea, dal 1987 a oggi circa un milione di bambini sono nati da coppie che si sono formate in Erasmus.

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