Dopo la strage in un cinema in Colorado, Barack Obama e Mitt Romney hanno trovato un punto d’incontro: non è il momento di parlare di armi.

Il silenzio è politicamente giustificato. Per i democratici la regolamentazione del possesso di armi da fuoco è una guerra persa. L’hanno vinta i repubblicani appellandosi al secondo emendamento, che sancisce il diritto della costituzione di detenere armi. Oltretutto, chi è a favore della regolamentazione non è disposto a farne una bandiera. Chi è contrario invece sì. I 4,3 milioni di iscritti alla National rifle association difendono la loro posizione con un’agguerrita attività di lobbying.

Romney, che da governatore del Massachusetts aveva vietato la vendita di armi d’assalto e quadruplicato il costo delle licenze per il porto d’armi, ha detto: “Sono ancora convinto che quella tracciata dal secondo emendamento sia la strada giusta. Non crediate che nuove leggi possano fare la differenza”. Obama, che nel 2008 aveva dichiarato di voler reintrodurre il divieto sulle armi d’assalto ma poi non ha fatto nulla, ha detto la stessa cosa. “Dobbiamo tutelare i diritti sanciti dal secondo emendamento, ma dobbiamo fare in modo che le armi non finiscano nelle mani di individui che, in base alla legge, non dovrebbero averne”, ha affermato il suo portavoce Jay Carney.

“Le parole di conforto vanno bene”, ha dichiarato il sindaco di New York Michael Bloomberg, esponente di spicco del movimento per il controllo delle armi. “Ma forse è arrivato il momento che i due candidati alla presidenza ci dicano cosa intendono fare”.

Traduzione di Fabrizio Saulini

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