Xi Jinping, l’imperatore cinese che vuole conquistare il mondo
Quest’anno il Natale è arrivato in anticipo per il leader cinese Xi Jinping che, almeno sul fronte interno, sembra avere tutto sotto controllo. Xi poteva già contare su una stampa compiacente, una popolazione adorante e una lunga lista di cariche – tra cui quelle di capo del Partito comunista cinese e di presidente della Repubblica popolare cinese – quando a ottobre l’organizzazione leninista di cui è alla guida gli ha fatto un nuovo regalo, inserendo la lusinghiera espressione “pensiero di Xi Jinping” all’interno dell’ultima revisione della costituzione.
In questo modo Xi è diventato il più influente leader cinese dai tempi di Mao Zedong. Il presidente ha poi ricevuto un secondo regalo con la creazione di venti centri accademici dedicati allo studio del suo pensiero. Cosa potrebbe desiderare ancora Xi?
In cima alla sua lista c’è senz’altro una maggiore legittimità internazionale. Xi vorrebbe che le sue idee politiche fossero accettate non solo localmente, ma anche globalmente. Anche in questo caso, le manifestazioni di apprezzamento per l’uomo e per i suoi progetti, come la Nuova via della seta lanciata nel 2013, continuano ad aumentare.
Un futuro comune
Probabilmente i complimenti più graditi sono arrivati da Donald Trump, che durante la sua visita di novembre in Cina ha definito Xi “un uomo molto speciale” congratulandosi per “il recente successo del diciannovesimo congresso del partito” e annunciando “un rafforzamento dei rapporti e un’amicizia ancora più stretta tra i nostri due paesi”, il tutto dopo aver ripetuto per anni che l’ascesa della Cina è una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti.
Ma Xi ha ottenuto la sua rivincita anche in altri contesti, meno pubblicizzati. A dicembre, per esempio, importanti rappresentanti di Google e Facebook hanno partecipato a Wuzhen alla World internet conference, contribuendo alla legittimazione di un evento che, inaugurato quattro anni fa con l’obiettivo di regolare il modello gestionale di internet del Partito comunista cinese, inizialmente era stato snobbato. La ciliegina sulla torta l’ha messa l’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, dichiarando alla platea che l’idea cinese di “un futuro comune nel ciberspazio” è una “visione condivisa da Apple”.
Trumplandia non è l’unica realtà ad aver dato a Xi motivi per rallegrarsi. Anche David Cameron ha partecipato alla festa, accettando di partecipare alla gestione di un grande progetto legato alla Nuova via della seta, definendola un progetto vantaggioso per tutti e creatore di legami economici e infrastrutturali profondi tra la Cina e altri paesi. Spiegando la scelta, un portavoce dell’ex primo ministro britannico ha dichiarato che Cameron è “orgoglioso del suo lavoro nell’inaugurare un’età dell’oro tra il Regno Unito e la Cina con il presidente Xi”.
Xi è davvero un mix tra un modernizzatore e un governante confuciano?
Non possiamo dimenticare nemmeno i gioielli retorici offerti in dono da realtà geograficamente più vicine. Tra la conferenza su internet di inizio dicembre e le recenti notizie sul coinvolgimento di Cameron, Xi è stato indicato dallo Strait Times di Singapore come “uomo asiatico dell’anno”. A corredo della scelta, il quotidiano ha sottolineato che Xi ha mostrato “l’arte di governare di cui il mondo ha bisogno”.
Ma che tipo di statista è Xi Jinping? Qual è esattamente la sua visione del nostro “futuro comune nel ciberspazio”? Il presidente cinese è davvero un mix tra un modernizzatore e un governante confuciano come vorrebbero farci credere i mezzi d’informazione cinesi, con un numero sempre maggiore di opinionisti stranieri a condividere questo ritratto?
Quello appena trascorso non è stato soltanto un anno ricco di regali per Xi, ma anche uno in cui la storia moderna della Cina ha preso una nuova, allarmante piega. Nonostante tutti i discorsi sull’inizio di una nuova era vantaggiosa per tutti, ci sono fin troppe persone che hanno pagato a caro prezzo le manovre interne e geopolitiche di Xi, tra cui un famoso dissidente e molti abitanti di Pechino e dello Xinjiang. Xi ripete di voler realizzare il “sogno della Cina”, ma molte mosse recenti sono più vicine all’incubo che al sogno.
Per controbilanciare l’ondata di elogi, ecco cinque momenti particolarmente bassi del 2017 di Xi.
- Liu Xiaobo è stato il primo premio Nobel dai tempi del nazismo a morire in carcere. Certo, Liu ha trascorso i suoi ultimi giorni in una camera d’ospedale strettamente sorvegliata e non in un cella, ma la sua richiesta di andare all’estero per farsi curare è stata respinta. Sua moglie Liu Xia è sparita dalla sfera pubblica per cinque settimane, spingendo i suoi amici a preoccuparsi per la sua sicurezza. La vicenda avrebbe potuto essere uno degli argomenti trattati durante la visita di Trump a Pechino, ma non è stato così (un altro dei generosi doni di Trump è stato quello di accettare che i giornalisti presenti alla conferenza stampa congiunta dei due leader non potessero fare alcuna domanda).
- A novembre l’avvocato Jiang Tianyong è stato condannato a due anni di prigione per “incitamento alla ribellione contro lo stato”. Il crimine di Jiang è stato quello di accettare dei casi delicati che hanno testato i limiti del potere del partito, tra cui quello delle vittime dello scandalo del latte avvelenato del 2008, che ha portato al ricovero di decine di migliaia di bambini. Jiang è stato il quinto avvocato a essere condannato a una pena carceraria negli ultimi due anni nell’ambito di uno giro di vite che ha colpito oltre trecento avvocati. Alla fine del mese scorso, esprimendo un dissenso diventato eccezionalmente raro sotto il governo di Xi, molti avvocati e professori di legge hanno criticato la proposta di creare una nuova agenzia anticorruzione che avrebbe poteri enormi e al di sopra della legge.
- In Cina sono stati intensificati i controlli (già intensi) in ambiti che vanno dalla libertà di espressione online alla libertà di culto. Un rapporto pubblicato la settimana scorsa dall’Associated press rivela una campagna di intimidazione e assimilazione contro la minoranza musulmana degli uiguri nella regione dello Xinjiang. La campagna ha trasformato questo territorio meridionale in “uno dei luoghi più sorvegliati al mondo”. In Cina anche internet subisce un controllo sempre più stretto: la nuova legge sulla cibersicurezza entrata in vigore a giugno prevede sostanzialmente che qualsiasi utente, dalle grandi aziende tecnologiche ai privati, debba accettare il controllo da parte del partito. A settembre uno sfortunato supervisore edile è stato prelevato dalla polizia e incarcerato dopo aver pubblicato una barzelletta offensiva (su un presunto rapporto clandestino tra una celebrità e un alto funzionario del partito) in una chat privata sul suo iPhone, fatto che dimostra in modo inquietante fino a che punto i cinesi subiscano lo spionaggio statale.
- Pechino ha effettuato una serie di mosse per limitare la capacità di Hong Kong di godere di un’autonomia parziale dalla Repubblica popolare, come teoricamente garantito fino al 2047. Di recente, per esempio, il governo cinese ha stabilito che saranno gli agenti provenienti dalla Cina a occuparsi della sicurezza nella stazione di Hong Kong di una linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare l’isola alla terraferma, e che lo status della città come Regione amministrativa speciale non esenterà i residenti di Hong Kong dalla nuova legge secondo cui mancare di rispetto all’inno nazionale è un reato punibile con tre anni di galera.
- Per finire, mentre i residenti dei villaggi urbani e i migranti lavoratori che si guadagnano da vivere in Cina continuano a essere perseguitati, nelle ultime settimane a Pechino è stata registrata una violenta ondata di sfratti. Dopo che lo scorso 18 novembre lo scoppio di un incendio in un quartiere affollato dai migranti, alla periferia della capitale, ha provocato 19 vittime, le autorità cittadine hanno annunciato una manovra contro “le strutture illegali” per i successivi 40 giorni. Nelle settimane seguenti, le azioni giustificate con la necessità di garantire la sicurezza si sono trasformate in una palese campagna di demolizione che ha costretto migliaia di migranti urbani – la spina dorsale dell’economia dei servizi urbana – a lasciare le loro case proprio all’inizio dell’inverno. Quando gli utenti di internet hanno scoperto che nei documenti governativi e dei mezzi d’informazione statali questi individui venivano definiti come “popolazione di fascia bassa”, un’espressone altamente offensiva, sui social network è nata una breve campagna di solidarietà e rabbia. Ma il dibattito è stato rapidamente messo a tacere con l’eliminazione delle frase incriminata. Vale la pena ricordare che alla vigilia di questa manovra nel cuore politico della Cina, Xi era stato presentato come il paladino del miglioramento delle condizioni di vita della popolazione in un documentario in tre parti teoricamente prodotto da una società indipendente britannica e trasmesso da Discovery Channel in 37 paesi asiatici.
I giornalisti stranieri si sono occupati di tutti e cinque gli argomenti citati e ognuno di questi sviluppi è stato condannato in articoli ed editoriali sui principali quotidiani. Eppure, in un anno che ha visto apparire sulle prime pagine la pulizia etnica in Birmania, la repressione del dissenso in molti paesi e le rivelazioni sulle molestie sessuali da parte di personalità di alto profilo negli Stati Uniti, l’attenzione riservata alle cattive notizie in arrivo dalla Cina è stata molto limitata. Molte persone che in tempi meno turbolenti si sarebbero preoccupate per queste problematiche tendenze cinesi, oggi non riescono a farlo.
Spesso è difficile anche per gli specialisti di questioni cinesi concentrarsi sul lato oscuro del sogno di Xi. Come ha sottolineato l’importante analista dei social network cinesi Liz Carter, mentre gli sfratti di Pechino erano in competizione per lo spazio sulle prima pagine dei giornali statunitensi con le notizie sugli abusi sessuali e la riforma delle tasse, può diventare difficile prestare attenzione alla sofferenza in Cina “quando casa tua sta bruciando”.
Dov’è finito il dissenso?
Non vogliamo insinuare che in Cina le cose vadano peggio che in qualsiasi altro luogo. Ma resta il fatto che in molti ambiti in Cina la situazione è peggiorata rispetto a dieci anni fa, quando sotto il precedessore di Xi, Hu Jintao, il paese si preparava a ospitare le sue prime Olimpiadi. Al contrario di Xi, Hu non era stato sommerso di elogi né aveva potuto contare sulla stessa compiacenza. Il passaggio della torcia internazionale in vista dei giochi era stato accolto dalle proteste per gli abusi in Tibet, e molti avevano chiesto un boicottaggio dei Giochi. Il regista di Hollywood Steven Spielberg, diversamente da quanto fanno oggi i pezzi grossi della Silicon Valley, si era ritirato dalla collaborazione con la cerimonia d’apertura a causa della posizione del governo cinese sul conflitto in Darfur.
Ci sono molti altri paesi in cui accadono cose preoccupanti, ma questi paesi non vengono descritti come modelli da cui i loro pari dovrebbero imparare. I loro leader sono definiti grandi uomini dai mezzi d’informazione statali sotto il controllo del governo, ma in altri paesi i mezzi d’informazione non li considerano modelli “dell’arte di governare a livello globale”.
All’interno della Repubblica popolare cinese, Xi è oggetto di una sproporzionata esaltazione personale che non si vedeva dai tempi di Mao. Senza dubbio si tratta di una tendenza inquietante. Ma è altrettanto significativo che in un anno in cui la Cina ci ha regalato così tanti sviluppi sgraditi, Xi venga salutato con incessanti grida di “urrà!” anche oltre i confini della Repubblica popolare.
Quando è stato criticato per il suo contributo alla legittimazione dell’approccio del governo cinese a internet, chiaramente basato sulla censura, Tim Cook ha risposto così: “La mia idea è che bisogna presentarsi e partecipare, perché dall’esterno è impossibile cambiare le cose”.
Questo concetto semplicistico di impegno viene ripetuto ogni volta che si parla della Cina. Cook e altri che considerano l’impegno come la scelta migliore, però, dovrebbero avere almeno una visione chiara del gioco a cui stanno partecipando. Quando si parla di internet, il gioco della Cina potrebbe avere conseguenze potenzialmente devastanti per la libertà di espressione a livello globale.
Decidere di “partecipare” non significa che bisogna lasciare a casa i propri valori. Dobbiamo proteggere i princìpi fondamentali di apertura e dialogo che rendono le nostre società reattive e responsabili, evitando di echeggiare esagerate lodi per i vari leader nazionali. Il mercato cinese promette grandi doni, ma il prezzo da pagare è nascosto dietro la cortina di un sistema che si dedica prima di tutto alla propria glorificazione. Continuando a celebrare un leader autocratico le cui azioni sono molto lontane dai valori confuciani e socialisti che sostiene di rispettare, non facciamo altro che essere complici di questa messa in scena. E Xi non merita tutta questa generosità.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è stato pubblicato su Dissent.