Tutti dovrebbero conoscere i lavori di Studio Azzurro. Oggi ci sembra naturale l’interazione con i touchscreen, ma negli anni ottanta, quando questo gruppo è stato fondato, il contesto era differente: lo schermo a tubo catodico era l’unico mezzo disponibile per trasmettere immagini elettroniche.
In una delle sue prime installazioni, Studio Azzurro rompe i confini del televisore, che diventa una lunga corsia di una piscina attraversata su e giù da un nuotatore.
Successivamente, grazie alla presenza di nuove tecnologie, il gruppo progetta interi ambienti sensibili, luoghi di contatto in cui le persone interagiscono fisicamente e emotivamente con esperienze, ricordi e memorie altrui. Nascono i musei di narrazione, che da quindici anni caratterizzano l’estesa produzione del gruppo.
In Sensitive city la mappa della città non è più geografica, ma è una mappa relazionale, ridisegnata dalle storie delle persone con cui si entra in contatto su una parete interattiva.
In queste installazioni sono coinvolti tutti i sensi, il movimento del corpo e la partecipazione attiva sono necessari per mettere in azione l’ambiente circostante.
Ho scoperto Studio Azzurro alla Triennale di Milano nel 2002 durante una gita universitaria. Ricorrevano i trent’anni dalla pubblicazione del libro Le città invisibili di Italo Calvino, ed era stato chiesto a artisti e designer di rappresentare ognuno una città del libro. Bauci era La città degli occhi.
Quest’anno il gruppo è presente alla Biennale di Venezia con un’installazione interattiva commissionata dalla Santa Sede. Il tema è la creazione del mondo, la cui reinterpretazione è affidata a un gruppo di detenuti e di sordomuti. Qui la descrizione di Paolo Rosa, artista e cofondatore del gruppo, scomparso una settimana fa (chissà, forse in direzione di Bauci).
Questo post è dedicato a Paolo Rosa e ai suoi colleghi. (mru)
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