Ormai ho l’impressione che George R. R. Martin – l’autore del Trono di spade, sadico narrativo e distruttore di tutte le belle cose – sia diventato lo sceneggiatore dei telegiornali. Non sono la prima a fare questa osservazione. Martin è famoso per la sua tendenza a uccidere i personaggi preferiti da tutti e scaraventare le sue storie in una fossa di incertezza proprio quando cominciavamo a pensare che le cose potessero mettersi bene.

Da quando Prince si è aggiunto al novero delle star morte quest’anno, è evidente che la vita sta imitando Il trono di spade e non possiamo fare altro che assistere allo spettacolo coprendoci gli occhi e cercando di evitare gli spoiler.

La popolarissima serie Hbo basata sui libri di Martin è arrivata alla sesta stagione. Per me è spazzatura gloriosa e selvaggia. E per me è un complimento. Amo questa serie orrenda e problematica più di quanto possa spiegare, quindi ho smesso di provarci. Dato che la serie fa a gara con se stessa per umiliare sessualmente il maggior numero di personaggi femminili possibile nello spazio di un episodio di 45 minuti, non è certo il sogno di un’attivista per la giustizia sociale.

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La giustificazione offerta per questa violenza misogina è che l’obiettivo non è solleticare il pubblico, assolutamente no, ma mostrare quello che accadeva nell’oscuro passato medioevale. Sarebbe una scusa decente se la violenza sessuale fosse realmente storia passata, o se almeno Il trono di spade fosse davvero ambientato nel passato anziché in un mondo fantastico in cui ci sono zombie, draghi e mutaforma.

Tuttavia c’è un motivo per cui Il trono di spade può essere considerata la serie più realistica del momento. Nonostante i maghi, gli Estranei e il modo in cui tutti i personaggi riescono ad avere i capelli perfettamente in ordine anche mentre sono gratuitamente torturati a morte, c’è qualcosa di terribilmente reale nella Westeros creata da Martin e i cui personaggi sono diventati ormai parte dell’immaginario contemporaneo.

La trama del ventunesimo secolo

Quello che distingue la serie da tutto il resto non sono i mostri, i nudi o i litri di sangue, ma la sensazione opprimente che la trama sia andata completamente fuori controllo tre libri fa e che sia spinta verso un orribile precipizio da un manipolo di pazzi assetati di potere. Per coincidenza, la stessa cosa sta accadendo anche alla trama del ventunesimo secolo.

Può darsi che la gente cominci a guardare Il trono di spade perché è attirata da “tette e draghi”, come ha giustamente fatto notare l’attore Ian McShane, ma se non riesce a smettere è per l’orrore ininterrotto. Martin calpesta allegramente tutti gli elementi della tradizionale fiction di spade e streghe. Non ci sono nobili missioni o viaggi avventurosi di un eroe. Anzi, alle brave persone accadono cose orrende senza alcuna ragione. L’eroismo non è ricompensato, e le poche volte che l’ingiustizia è punita succede per caso. Le damigelle non sono salvate, i protagonisti finiscono uccisi all’improvviso e la guerra è sempre un’idea stupida, anche se i sopravvissuti del cast continuano a sceglierla come metodo principale per cercare di risolvere i loro problemi.

È una terapia preventiva per la casualità della politica moderna, con contorno di mostri e scopate

La maggior parte dei fan si chiede a quale casata nobile vorrebbe appartenere. Coraggiosi e inflessibili come gli Stark? Aristocratici di nascita come i Lannister? Pirati pazzi e bastardi come i Greyjoy? A me piace pensare che sarei a casa mia a Dorne, dove i combattimenti con i coltelli e la bisessualità spinta sono una cosa di tutti i giorni. Ma la verità è che tutti noi, a prescindere dai nostri desideri, saremmo probabilmente morti da almeno due stagioni. E non morti in modo eccitante. Non decapitati dal re né bruciati in sacrificio al dio del fuoco dal proprio padre. Da un punto di vista statistico, saremmo tutti contadini. Probabilmente non avremmo nemmeno diritto a un nome e mangeremmo fango in attesa che la guerra finisca. Lo so io e lo sapete voi.

La morale della favola è tanto torbida quanto illuminante. I draghi sono fantastici. Gli uomini sono terribili. Seguire fanatici religiosi in battaglia non è una buona scelta di vita. L’onore è un concetto vuoto che spesso costa la vita. E soprattutto, ci sono poche persone davvero cattive al mondo. Ci sono per lo più persone stupide, spaventate o rancorose che a volte si ritrovano alla guida di eserciti o nazioni. Quando questo accade tutti gli altri sono nella merda. È questo il senso del Trono di spade.

Non ho alcuna fiducia in un lieto fine. Mi sono rassegnata all’idea che i miei personaggi preferiti non ne usciranno vivi, e se anche così fosse non avrebbe importanza perché un enorme esercito di zombie dei ghiacci sta arrivando per mangiarsi il mondo.

Al volante non c’è nessuno

È proprio questo il bello. In tv ci sono moltissimi spettacoli sexy e terrificanti, e in questi tempi di ansie e paure sembra che ogni scrittore decente voglia buttarsi sulla distopia più cupa. Il problema della maggior parte delle distopie, però, è che sono troppo prevedibili. Inevitabilmente ci presentano mondi in cui, per quanto le cose vadano male, c’è qualcuno al comando. Per questo sono rassicuranti, come le teorie del complotto. È più rassicurante credere che una razza segreta di lucertole ha in mano il destino della razza umana piuttosto che ammettere che al volante non c’è nessuno.

Le storie ci aiutano ad anticipare il trauma e a prepararci. Ci sediamo davanti alla tv e immaginiamo come potremmo superare quelle cose orribili se capitassero a noi o a qualcuno che amiamo, e anche se la risposta è “non ce la farei mai” ci sentiamo comunque un po’ meglio. In questo momento, la prospettiva più preoccupante è che il mondo potrebbe essere gestito da idioti violenti che non hanno idea di quello che fanno, troppo impegnati a scannarsi tra loro per accorgersi che presto il riscaldamento globale potrebbe spazzarci via.

Questo, insieme alla colonna sonora, è quello che amo del Trono di spade. È una specie di terapia preventiva per la brutale casualità della politica moderna, con un contorno di mostri e tante scopate. Ecco, spero di avervi dato tutte le ragioni di cui avete bisogno per attaccarvi alla sesta stagione. Ho fatto del mio meglio. Se avete bisogno di me mi trovate dietro il divano.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

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