A Cannes ho visto un distributore cinematografico statunitense finire sul cofano di un’auto in corsa mentre si affrettava verso la prossima proiezione o conferenza. L’ho visto rialzarsi e, senza neanche un accenno all’autista scioccato, continuare la sua corsa zoppicando. Ma ciò che sarebbe considerato follia altrove è normale a Cannes.
Davanti alla ressa per entrare nella sala Lumière, dove ha sede la proiezione mattutina dei film in concorso, i giornalisti più insospettabili si trasformano in belve. A controllarli ci sono degli addetti alla sicurezza in tenuta beige con auricolari Bluetooth. Sono convinto che il resto dell’anno facciano i buttafuori. Il loro compito al festival è sostanzialmente lo stesso.
Come in ogni locale che si rispetti, nella fila per entrare nelle sale di proiezione - anzi, nelle file, perché sono più di una, ognuna con le sue barriere come allo stadio - ci sono sia vip sia sfigati. Non ho mai visto un sistema di pass così arcano e gerarchico come quello di Cannes. I festival di Venezia e Berlino hanno da tre a quattro badge diversi per la stampa; Cannes ne ha la bellezza di cinque. È un vero e proprio sistema di caste.
Nel ruolo dei dalit, gli intoccabili, ci sono quelli che hanno un pass color verde. Viene rilasciato a fotografi e altri operatori “tecnici” che non vanno al festival per vedere i film. E meno male, perché riuscire ad accedere a una proiezione con il badge verde è facile come vincere la lotteria.
Un gradino sopra troviamo l’accredito blu. Questo è il colore più diffuso, il colore di quel cielo che puoi fissare per lunghe ore mentre aspetti in fila con tutti gli altri blogger e giornalisti di testate considerate meno importanti dai deus ex machina che presiedono alla distribuzione dei colori. Con il badge blu devi arrivare alle proiezioni con largo anticipo e metterti in una specie di gabbia da dove puoi osservare, oltre al cielo, l’entrata di tutti quelli che hanno il pass più fico del tuo.
L’accredito rosa è il primo pass accettabile, il minimo indispensabile per quei giornalisti che non intendono passare i loro giorni a Cannes a scrivere articoli, mangiare o addirittura addormentarsi in fila. Poi, in ordine di importanza, viene il badge rosa con il pallino giallo - rose-pastille in francese. Perché non hanno scelto un colore a sé per questa categoria? Perché hanno preferito appiccicare al pass un pallino giallo che sembra ritagliato da un Post-it (a pensarci bene, non sarebbe una cattiva idea per un piccolo borghese rosa che vuole salire di un gradino nella scala sociale). Non è per noi comuni mortali chiedere. Le vie del festival sono infinite e difficili da scorgere.
Se hai l’accredito bianco, che viene rilasciato solo al gotha della stampa cinematografica internazionale, vuol dire che sei nell’Olimpo. Vuol dire che puoi passare, per esempio, dal Palais du Cinéma alla Debussy (l’altra principale sala di proiezione del festival) attraverso una porta comunicante, senza dover uscire e poi rientrare. E una volta entrato hai ben due file riservate solo per te. Poi, come se non bastasse, alle feste tutti ti guardano l’ombelico (alla cui altezza penzola il pass) con invidia.
Io ho il pass rose-pastille. Mi consolo ripensando alle parole del padre di Robinson Crusoe nel romanzo di Daniel Defoe, quando dice al figlio che fare parte della classe media ti protegge “dalle calamità della vita, che sono condivise dalla parte più bassa e da quella più alta dell’umanità”.
Detto questo, se mi offrissero un pass bianco, non lo rifiuterei…
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