Un articolo uscito sul sito della Bbc, intitolato Dove essere vegetariana è considerato una malattia esotica, racconta in prima persona l’esperienza di Dany Mitzman, una giornalista britannica che vive a Bologna.

Come me, Dany mangia il pesce ma non la carne. E si lamenta perché “in una regione dove il colesterolo alto fa parte del dna e i ciccioli di maiale sono una prelibatezza, essere vegetariani è considerato incomprensibile”.

 

Incomprensibile? A Bologna? La mia esperienza del capoluogo emiliano è diversa. Se da una parte la fama di “Bologna la grassa” è meritata, è vero anche che poche altre città in Italia sono abituate, come lo è Bologna, a convivere con chi ha fatto delle scelte di controtendenza. Anche in materia di cibo.

Dany Mitzman non ha mai mangiato biologico all’Alce Nero Caffè in via Petroni? O a Eataly in via degli Orefici, dove ci sono insalate e piatti di pesce a bizzeffe? Oppure in uno dei tanti ristoranti etnici della città, per esempio lo scenografico ristorante India in via Nazario Sauro, dove sembra di stare a Mumbai?

 

Certo, se gli amici insistono a portarla sempre alla trattoria tradizionale bolognese, qualche problemino ce l’avrà. Soprattutto se “i tortelli ripieni di ricotta non mi piacciono più di tanto”. No, dai, allora sei proprio difficile.

 

Scherzi a parte, devo anche ammettere che l’articolo della Mitzman tocca qualche corda, soprattutto nei vegetariani (pescivori) come me. Io vivo in Umbria. E non è sempre facile orientarsi al ristorante.

Spesso i secondi piatti sono tutti

off limits, a meno che non ci sia il baccalà. Però è raro che io e mia moglie (anche lei una fishy veggie) non mangiamo bene, destreggiandoci fra antipasti, primi, contorni e dessert.

 

Per non parlare poi della bontà a chilometro (quasi) zero che si trova o nel nostro orto, oppure da amici e conoscenti: il cavolo nero, i porri, i pomodori, gli spinaci, e poi piselli, albicocche, le uova delle galline della Maria, la nostra vicina (che ha anche dei conigli, ma non riesce ad ammazzarli), il formaggio di capra, i fagiolini del Trasimeno. E ovviamente l’olio di oliva buono.

 

In realtà questi sono ingredienti che si trovano a Bologna come a Perugia, in Piemonte come in Calabria. E la mia esperienza è che a casa, in Italia, si mangia molto più “vegetariano” che fuori. Tante volte il ristoratore si sente come contrattualmente obbligato a offrire il primo abbondante di pasta (o riso, o polenta) seguito dal secondo abbondante di carne o pesce a delle persone che, a casa, mangiano in modo più leggero. E che spesso preferiscono contorni, insalate e affettati al secondo “tradizionale”.

 

Mi permetto di dare qualche consiglio a Dany Mitzman:

1) Tu sai, vero, che puoi ordinare anche due antipasti e nient’altro? Non c’è l’obbligo di seguire l’ordine canonico del menù.

2) Tradizionale non vuol dire sempre carnivoro: cercati quelle trattorie che offrono cose più leggere, o che ripropongono quei piatti veramente “tradizionali”, che si rifanno ai tempi in cui la carne non era alla portata di tutti.

3) Dai un’altra chance ai tortelli ripieni di ricotta o di zucca, sono buonissimi.

 

Per chi volesse approfondire il tema, la Bbc ha pubblicato un seguito all’articolo di Mitzman in cui dei lettori raccontano le loro esperienze nei posti più difficili del mondo per i vegetariani.

Il racconto che mi ha fatto sorridere di più è quello di una signora inglese che, in qualche ristorante del nord Italia, dice al cameriere: “Sono vegetariana, è un problema?”. E lui risponde: “Solo per lei, signora, solo per lei”.

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