È possibile rendere simpatico un uomo che, ridotto allo stato bestiale, vive in una grotta circondato dalle donne che ha ucciso per poi fare sesso con loro? Ammetto che, messa così, sembra una vera impresa. Ma James Franco, attore statunitense diventato anche prolifico regista, quasi ci riesce in Child of god (Figlio di dio), un adattamento piuttosto fedele del romanzo omonimo di uno scrittore famoso per il suo stile “gotico sudista”, Cormac McCarthy (quello di Non è un paese per vecchi, per intenderci).
Dico che quasi ci riesce perché in un film di sorprendente tenerezza, con qualche accenno perfino alla commedia muta di Chaplin e Keaton, fa vedere come un emarginato della società possa entrare in un circolo vizioso di respingimento (anche per colpa delle forze dell’ordine) e introversione. Ma
Child of god è anche una allegoria dell’evoluzione a ritroso, che segue un uomo che passa dalla casa alla grotta, da un linguaggio quasi umano a dei grugniti gutturali. Inoltre ha una bellissima colonna sonora, una specie di *bluegrass *malinconica, firmata dal musicista indie-folk californiano Aaron Embry.
L’altro film statunitense passato in concorso tra venerdì e sabato, Night moves di Kelly Reichardt, mi ha deluso. L’incipit è forte: tre giovani ecoattivisti (interpretati da Jesse Eisenberg, Dakota Fanning e Peter Sarsgard) preparano un attentato dimostrativo contro una diga, in protesta contro gli sprechi e la miopia di un piano energetico americano che pensa solo a sfruttare la natura per permettere a tutti di “ricaricare i loro iPod in continuazione”.
C’è un certo fascino nel seguire da vicino i dettagli pratici dell’azione – l’acquisto di una barca, il problema di come comprare una montagna di fertilizzante a base di azoto senza dare nell’occhio – e per un momento ho sperato che il film fosse tutto qui, cioè la presentazione, provocatoria e amorale (ma per questo anche profondamente etica nelle questioni che avrebbe sollevato) di un attentato terroristico riuscito. Purtroppo no. Vira in territorio hitchcockiano, ma la regista e la sceneggiatura non reggono minimamente il confronto con il maestro.
Per ultimo è passato Philomena di Stephen Frears, storia commuovente ma anche a tratti divertente di una donna irlandese che, cinquant’anni prima, ha avuto un figlio che è stato dato in adozione dalle suore del convento dove questa ragazza madre (e dunque peccatrice) era stata rinchiusa. È un bel film commerciale ma anche intelligente, con una splendida Judy Dench nel ruolo di una donna che vuole a tutti costi ritrovare il figlio che le era stato strappato.
Ma i toni cupi da Magdalene (vi ricordate il bel film-denuncia di Peter Mullan, che vinse il Leone d’Oro nel 2002?) sono alleviati dalla presenza di un giornalista un po’ cinico interpretato da Steve Coogan, che aiuterà Philomena a trovare il figlio in cambio dell’esclusiva. Bella l’intuizione: fare un film-denuncia che denuncia anche (in modo satirico) il modo in cui sono costruite le storie strappa lacrime.
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