Mi trovo sulla costiera Amalfitana in quest’ultimo scorcio d’estate. Per lavoro, intendiamoci. È un brutto mestiere, ma qualcuno deve pur farlo eccetera eccetera.
Entrando un po’ nella storia di questo luogo mi sto accorgendo che molte di quelle cose che noi consideriamo come tradizioni radicate sono in realtà delle invenzioni moderne che si spacciano per antiche, e vengono corredate di una backstory che non hanno mai vissuto.
Facciamo un esempio banale: il limoncello. Esiste da secoli o è un’invenzione recente condita di leggende di antiche origini? Su alcuni liquori fai-da-te, come il nocino o il rosolio, c’è una discreta documentazione storica, ma nessuno (che io sappia) fa menzione del limoncello prima dell’inizio del novecento. E, al di fuori di una manciata di famiglie e circoli sociali, sono stati in pochi a berlo prima del 1988, quando il caprese Massimo Canale ha registrato il marchio Limoncello di Capri e si è messo a produrre il liquore giallo in quantità tali da poter fornire bar, ristoranti e supermercati di tutta la zona e poi tutto il mondo.
In uno dei pochi articoli seri dedicati all’argomento, Luciano Pignataro ci ricorda quant’è recente l’ascesa del limoncello: “Il passa parola comincia nei primi anni novanta, da Capri e dalla costiera la moda arriva ben presto Milano, dove lo chiamavano limoncino, poi scende a Roma (er limonello) e infine, poco dopo il G8, anche a Napoli, quando i bar del centro cominciano a esibire orgogliosamente le allegre bottiglie piene di oro giallo liquido”. In altre parole il limoncello, come fenomeno commerciale, ha la stessa età di internet.
Per quanto riguarda la storia precommerciale della bevanda, sappiamo solo che l’ideatrice (o diffonditrice) della bevanda, Vincenza Canale, gestiva un albergo. Eppure il limoncello viene presentato ai turisti come un prodotto tipico, radicato nella tradizione contadina di queste terre baciate dal sole. È vero? È falso? Su internet affiorano storie di pescatori che da secoli, prima di uscire in mare, si rincuoravano con questo liquore fatto in casa e di monaci che trasformavano i limoni del loro orto in elisir per l’anima. Ma non ci sono fonti documentarie o pittoriche. Sono quindi solo delle congetture pilotate per dare il beneplacito della tradizione a un prodotto sostanzialmente moderno?
Per fare altri esempi campani, la torta caprese risale solo agli anni cinquanta, o forse sessanta, nasce in albergo e non è una ricetta tradizionale. E la delizia al limone è stata inventata da un pasticciere sorrentino nel 1978: ora si trova in tutti i bar e le pasticcerie della penisola sorrentina, e possiamo scommettere che tra qualche anno anche lei avrà delle leggende sulla sua origine. Anzi, ci provo io a dare il via: la delizia al limone è stata creata da un prete amalfitano nel settecento, sospeso
a divinis dopo essere stato colto in flagrante con una novizia. Diventato pasticciere alla corte reale di Ferdinando I di Borbone, crea la delizia al limone in ricordo del seno candido della sua amante perduta.
Non sarebbe la prima volta. Come ci ricordava il compianto Eric Hobsbawn in L’invenzione della tradizione, il libro che ha scritto insieme a Terence Ranger nel 1983, la storia è piena di esempi di tradizioni inventate per creare delle narrative di coesione nazionale o culturale. Il kilt scozzese, che è stato pre datato da pittori, registi e scrittori, in realtà non esisteva prima dell’ottocento. E c’è di peggio: è stato inventato da un inglese.
Ma Mel Gibson, in Braveheart, non avrebbe fatto la stessa figura nella tenuta da guerra che gli highlanders portavano davvero nel Medioevo: una lunga tunica gialla tinta con urina di cavallo.
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