Quanto sarà antieuropeo il prossimo Parlamento europeo? Gli ultimi sondaggi suggeriscono che i partiti populisti, spesso euroscettici, a maggio potrebbero ottenere risultati abbastanza buoni da costituire una minoranza destabilizzante con capacità di veto, ma per questo sarebbe necessario tra loro un improbabile livello di cooperazione.

Data la difficoltà d’inserire decine di partiti dei 27 paesi dell’Ue in un unico spettro politico e di valutarne la forza, a più di tre mesi dalle elezioni, esistono naturalmente svariate proiezioni.

A questo si aggiunge la complicazione di capire quali risultati otterranno i partiti nel loro paese e contemporaneamente in quali gruppi politici entreranno a far parte nel Parlamento europeo.

Varie sfumature
L’istituto di sondaggi Europe elects prevede che i tre raggruppamenti che uniscono varie sfumature di populismo ed euroscetticismo – Europa delle nazioni e della libertà (Enf), Europa della libertà e della democrazia diretta (Efdd) e Conservatori e riformisti europei (Ecr) – otterranno 176 seggi sui 705 totali rimasti dopo la Brexit.

Ma da questi è escluso il partito al potere in Ungheria, Fidesz, che appartiene a un gruppo di centro-destra più convenzionale, e il suo rivale di estrema destra Jobbik, che su scala europea è su posizioni non allineate. Aggiungendo queste due formazioni, i populisti otterrebbero altri 15 seggi, portando la loro quota al 27 per cento, rispetto al 22,5 per cento dell’attuale parlamento. Questo lascia comunque aperta la questione del gruppo al quale aderirà un partito in ascesa come lo spagnolo Vox, per non parlare di quel che potrebbe decidere l’incostante Movimento cinque stelle italiano.

Secondo uno studio gli antieuropei potrebbero ottenere quasi un terzo dei seggi del parlamento

Susi Dennison e Pawel Zerka, dell’istituto di ricerca Consiglio europeo per le relazioni internazionali (Ecfr,) hanno analizzato i dati al livello nazionale, probabilmente il metodo migliore disponibile a oggi, usando dati risalenti al 3 gennaio di Poll of polls, un aggregatore con sede a Vienna.

In un rapporto pubblicato a febbraio, ha previsto che più di un terzo dei seggi del parlamento potrebbero andare a rappresentanti “antieuropei”, un termine dal significato complesso. Secondo Dennison e Zerka, questo si riferisce sia all’estrema sinistra sia ai movimenti populisti e nazionalisti.

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Se si applicano i dati di Poll for polls dell’11 febbraio a questo modello, aggiungendovi anche partiti dalle tendenze populiste come il partito al potere in Polonia, Diritto e giustizia (Pis), Fidesz, i Democratici svedesi e la Nuova alleanza fiamminga (N-va) del Belgio, il totale complessivo degli antieuropei arriverebbe a circa 220. Ovvero quasi un terzo di tutti i seggi del parlamento, una quota necessaria per un cambiamento qualitativo.

Sarebbe abbastanza per bloccare i tentativi dell’Ue di punire l’Ungheria e la Polonia per i loro attacchi allo stato di diritto. I partiti potrebbero evitare che le commissioni approvino automaticamente le nomine alla Commissione europea. Potrebbero anche giocare un ruolo chiave nella definizione del bilancio dell’Ue, se i partiti tradizionali non riuscissero a coalizzarsi (uno scenario probabile).

Cambiamenti epocali sarebbero possibili se tutte le forze estremiste formassero quella che il rapporto dell’Ecfr descrive come un’alleanza di “tutti contro l’establishment” tra estrema destra, euroscettici ed estrema sinistra.

Dennison e Zeka sostengono che le forze antisistema hanno già collaborato nel Parlamento europeo su alcune questioni: “L’amore per la Russia, l’odio per le sanzioni e le forti inclinazioni protezionistiche possono unire l’estrema sinistra e l’estrema destra”, sostengono. Quest’alleanza non sarebbe ufficiale e neppure stabile. Ma questo “allineamento non pianificato” in votazioni fondamentali potrebbe essere sufficiente a rendere precario il controllo del Parlamento europeo esercitato dai partiti tradizionali, obbligandoli a creare alleanze con una frequenza che finora non era stata necessaria.

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Anche se i partiti populisti non riuscissero a ottenere i seggi necessari a determinare votazioni chiave, i nazionalisti hanno già indirizzato il dibattito pre elettorale. L’immigrazione è una questione fondamentale in quasi tutti gli stati membri dell’Ue. I partiti tradizionali hanno dovuto partecipare alla discussione, e si trovano nella poco invidiabile posizione di dover spiegare concetti complicati agli elettori, mentre i populisti bombardano questi ultimi con semplici slogan.

Il rapporto Ecfr consiglia ai centristi di spostare il dibattito elettorale su altri argomenti: i valori europei, la giustizia fiscale, i cambiamenti climatici, o i tentativi del Cremlino d’indebolire l’Ue. Non credo, tuttavia, che nessuno di questi avrà la forza elettorale dell’immigrazione.

Nelle elezioni, tuttavia, la complessità non sarà solo un nemico per i centristi, ma potrebbe anche venire in loro aiuto. Etichettare diversi partiti di differenti paesi come “antieuropei”, “estrema destra” o “antisistema”, come ha fatto l’Ecfr, potrebbe essere troppo semplicistico. Molti di questi gruppi alle estremità dello spettro politico non sono davvero contrari all’Ue e non stanno facendo campagna perché i loro paesi ne escano. Alcuni vorrebbero una Ue con minori poteri, ma questo fa parte di una discussione legittima. Non è necessariamente un attacco ai valori europei.

Ipotizzare delle coalizioni antisistema ad hoc può servire non solo a spaventare i centristi e a spingerli a una maggiore cooperazione. Può anche mostrare la profondità delle differenze tra le forze insoddisfatte dello status quo. Per queste ottenere dei seggi nel Parlamento europeo può essere un utile bagno di realtà. Alcune di queste, come Syriza in Grecia o Podemos in Spagna, per non parlare di Fidesz, su molti temi hanno trovato più naturale votare con il centro che con le frange nazionaliste.

Personalmente mi risulta quindi difficile inquietarmi per le elezioni. Anche se i vari partiti antisistema otterranno il numero di seggi che i sondaggi suggeriscono, il progetto europeo non sembra correre pericoli.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato da Bloomberg.

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