Facebook, YouTube e MySpace – i cavalieri della comunicazione globale – crescono a vista d’occhio nei paesi in via di sviluppo, a un ritmo superiore rispetto a quello dei paesi occidentali.
Chi li ha fondati dovrebbe essere contento: lo scopo di questi siti è una crescita senza limiti per creare delle comunità virtuali digitali. Ma non è così. Nei paesi poveri la popolarità di YouTube è controproducente, perché aumenta i costi per l’azienda senza generare nessun guadagno.
Gli utenti guardano i video per ore e ore, intasando la rete, senza neppure accorgersi della pubblicità. E se anche la notano, non possono permettersi il lusso di comprare i prodotti e i servizi reclamizzati. Nel mondo digitale il divario tra nord e sud è tornato a crescere. E gli esperti di marketing sono costretti a tenerne conto.
L’anno scorso una società di file sharing statunitense ha bloccato l’accesso agli utenti africani, asiatici, sudamericani e dell’Europa orientale. I princìpi base dell’economia capitalista stanno mettendo a dura prova la democrazia del web e i wiz-kid che hanno creato Facebook e YouTube. Neanche nel ciberspazio è possibile sfidare le leggi del mercato: quello che conta di più è sempre il profitto.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it