Oggi vi voglio raccontare una conversazione che ho ascoltato per caso su un treno alcuni anni fa. Giuro che non è inventata. Davanti a me erano seduti due uomini eleganti, che chiaramente non si vedevano da un po’ di tempo. Si stavano scambiando le ultime noti-zie sui rispettivi lavori e su alcuni conoscenti in comune.

Dopo qualche minuto il più anziano ha chiesto: “E come va il tuo romanzo? Lavori sempre allo stesso?”.

“Sì”, ha risposto il giovane, “ultimamente ho scritto davvero tanto e il libro sta venendo proprio bene”.

C’è stata una pausa, poi il più vecchio ha detto: “Be’, è da un bel pezzo che ci stai lavorando, o sbaglio?”.

“Tre anni”.

“E quando pensi di finirlo?”.

“Non so, però sto andando avanti spedito e devo dire che sono veramente soddisfatto di quello che ho scritto finora”.

Quindi c’è stato un breve scambio di battute, con il più giovane che continuava a insistere su come stava procedendo brillantemente, e l’altro che sembrava sempre più perplesso. A un certo punto è sbottato: “Senti, ci stai lavorando già da parecchio. Sei proprio sicuro che non ci sia qualche problema?”.

Il giovane ha annuito timidamente. “Va tutto a meraviglia, anche se… be’ sì, c’è una cosetta che mi sta bloccando un po’…”. Ero tutta orecchie. “Non riesco a trovare una trama”.

Forse vi siete domandati per quale motivo nelle scorse settimane vi ho fatto fare tutti quegli esercizi autobiografici e perché non vi ho detto ancora niente su come si fa a scrivere un romanzo. Ci arriveremo, però prima di qualsiasi altra cosa c’è un passo fondamentale che molti autori in erba dimenticano. Potremmo chiamarlo il momento di raccolta del materiale. È facile saltare questo passaggio senza nemmeno rendersi conto che, invece, è importantissimo.

La voglia di scrivere è così tanta che molti aspiranti scrittori ci si buttano a capofitto senza avere ancora niente da raccontare. A vent’anni ho scritto due romanzi mai pubblicati: uno da buttare completamente, l’altro un pochino migliore. Ma non li rinnego, perché mi hanno insegnato un’infinità di cose utili per la mia crescita professionale.

Ma anche se allora lo stile della mia prosa fosse stato migliore, non sarebbe comunque servito a nulla. Molto semplicemente, l’argomento di quei due libri (io, per lo più) era di scarso interesse. Scrivevo di me perché, alla fin fine, non sapevo di cos’altro scrivere.

A volte il modo migliore per capire cosa si vuole raccontare è scrivere il più possibile e sugli argomenti più disparati. Avere un’idea per un romanzo non significa avere una trama, perché una trama non è un’idea ma un’intera massa di idee, spesso in conflitto tra loro ed espresse attraverso una serie di eventi. Per avere abbastanza materiale per un intero romanzo bisogna essere preparati a guardare ben al di là dell’idea originale.

Si deve pensare al contesto e agli sviluppi e, soprattutto, introdurre la possibilità del cambiamento, che poi è la differenza fondamentale tra un racconto e un romanzo. Un racconto, di solito, è incentrato su un momento particolare: è come un quadro o un punto d’arrivo. In un romanzo le cose devono modificarsi, il protagonista deve cambiare o svilupparsi in qualche modo. Per dirla nella maniera più semplice: in un romanzo devono succedere delle cose.

Ecco perché vi ho chiesto di descrivere un incidente e di raccontare un momento in cui vi siete persi o sentiti in trappola: per cercare di farvi venire delle idee sulle cose che potrebbero capitare ai vostri personaggi. Nelle fasi iniziali di un romanzo è facile essere spaventati dall’idea di raccontare degli eventi drammatici, perché si è preoccupati di non avere l’abilità tecnica per gestire situazioni così complesse.

Il risultato è che spesso il libro è noioso e statico: si finisce per scrivere romanzi interi in cui i personaggi bevono il tè, vanno a fare compere e si rendono conto di essere vagamente infelici. Non fatevi spaventare dal dramma: scegliete pure lo schianto di un aereo nelle vie del centro o l’assedio armato alla casa di due vecchietti. Senza esagerare, per carità: se non siete abbastanza bravi, evitate storie di questo genere. Però, in generale, siate coraggiosi.

La prossima settimana esaminerò i vostri racconti sul sentirsi in trappola e vi assegnerò il primo di un’altra serie di tre esercizi. Avranno sempre a che fare con la raccolta di materiale e di idee per un futuro romanzo, ma saranno lontanissimi da quelli autobiografici: vi costringeranno a spingere la vostra immaginazione il più lontano possibile.

Internazionale, numero 636, 06 aprile 2006

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