L’autunno romano, oltre che dalle piogge incessanti, pare sferzato da raffiche di attivismo archeologico. Dopo le suggestioni del ministro Franceschini, ansioso di “restituire al Colosseo la sua arena”, e le fascinazioni del presidente dell’As Roma Pallotta, pronto a trasformare il Circo massimo in un campo di calciotto, anche il sindaco Marino ha pensato di fare la sua parte, con il progetto The hidden treasure of Rome (il tesoro nascosto di Roma: chissà perché in inglese).
Non si tratta di un documentario o un percorso per amanti del turismo culturale, ma di un progetto scientifico, cominciato in sordina nel maggio scorso e ora finanziato dal gruppo Enel mediante un protocollo d’intesa sottoscritto, di fronte a stampa e televisioni, il 10 novembre.
L’iniziativa viene così descritta da Marino sul suo sito internet: “Una vasta scelta di oggetti archeologici inediti… saranno portati all’estero dove… saranno oggetto di accurati programmi di ricerca ed analisi, per poi essere restituiti alla città, classificati e catalogati”.
Il sito informa che a ospitare gli “oggetti” saranno musei e università del Nordamerica, come l’università del Missouri, a cui è stato già affidato un lotto di 249 reperti, e precisa che “gli strumenti tecnologici all’avanguardia utilizzati in questi atenei permetteranno di realizzare un ‘repository’”, una banca dati “punto di riferimento unico per gli studiosi”.
Ignazio Marino è certo animato da buone intenzioni e probabilmente sarà rimasto impressionato dall’apprendere che i soli musei comunali contengono una quantità immensa di reperti non esposti e ancora non studiati. L’Enel, d’altro canto, è libera di impiegare i propri denari in qualsiasi modo la direzione marketing suggerisca, perfino di regalarli agli americani.
Ma questa iniziativa è, semplicemente, insensata e perfino offensiva per tutti coloro che, in Italia, si occupano per professione di indagare il passato di Roma e difenderne i resti tangibili.
È insensata per i molti dubbi scientifici che suscita: quali sono i criteri per individuare i partner a cui affidare i reperti? Come mai l’università del Missouri e non quella di New York o Sydney? Da che dipende la scelta dei reperti da mandare in giro? Ma soprattutto il rapporto tra costi e benefici appare completamente squilibrato: le sole spese per l’assicurazione e il trasporto oltreoceano ammonteranno a parecchie decine di migliaia di euro, molto di più che commissionare una schedatura in loco con borse di studio o contratti.
Proprio qui si avverte la fitta di un’offesa incomprensibile. In Italia la ricerca antichistica è molto avanzata: a Roma esistono laboratori per indagini archeometriche e la “repository” già c’è. Si chiama Sitar, Sistema informativo territoriale archeologico di Roma: gli americani lo sanno? E le loro schede saranno compatibili con le migliaia già esistenti?
Soprattutto ci sono gli archeologi – quasi sempre precari e mal pagati, nonostante l’apprezzamento internazionale – perfettamente in grado, da soli, di catalogare materiali di ogni genere, e di allestire eventi, mostre, percorsi, jonglerie per farli conoscere. Sono i soldi a mancare o, piuttosto, la volontà di spenderli e la capacità di spenderli bene.
E dispiace che, di fronte a una sponsorizzazione importante, un’esterofilia malata e provinciale, unita a una scarsa consuetudine al dialogo con altre istituzioni, porti a prediligere gli Stati Uniti, che dispongono già di molte più risorse, creando forme lambiccate e contorte per fare quello che pure è ovvio e indispensabile: aprire i magazzini e far studiare quello che c’è dentro, per trasformare un tesoro nascosto in una ricchezza diffusa e condivisa.
Sindaco Marino, perché non provare a cambiare direzione? Roma non si studia mandando in giro i suoi reperti (non lo fa più nemmeno l’Egitto!), ma creando le condizioni perché la città sappia accogliere tutti, partendo dalle risorse già esistenti e valorizzandole.
Lucio Del Corso è ricercatore di papirologia presso l’università di Cassino. Ha partecipato a spedizioni archeologiche in Giordania, Libia ed Egitto ed è attualmente membro della missione italiana ad Antinoupolis. Oltre a saggi in volumi e riviste specialistiche, ha scritto La lettura nel mondo ellenistico (Laterza 2005).
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