Pensateci un momento. Tra tutti i discorsi ufficiali e solenni della letteratura politica (e che cosa è più ufficiale e solenne della parola del capo dello stato?), quello che deve annunciare le dimissioni è probabilmente il più arduo.
Non può essere infatti un appello alla mobilitazione emotiva perché - per galvanizzare le masse - è necessario che qualcuno, quelle masse, le guidi: e resti lì, fermo al suo posto. E questo oggi non può accadere. D’altra parte, quel discorso non può perseguire l’effetto di uno shock salutare perché questo, in assenza di una leadership certa e stabile, potrebbe produrre un trauma collettivo.
Dunque, Giorgio Napolitano doveva congedarsi dal suo popolo e, allo stesso tempo, trasmettere l’idea rassicurante della continuità istituzionale e politica. Devo dire che - pur se il mio giudizio è condizionato dall’affetto - Napolitano ci è riuscito perfettamente. Lo criticheranno per la misura dimessa delle sue parole, ma è stata proprio quella tonalità così modesta, così discorsiva e priva di qualunque enfasi, a trasmettere un messaggio, se non di serenità (quale serenità è mai oggi possibile), di ferma tranquillità.
Non ha taciuto alcuno dei drammi che lacerano la società italiana, le sue molte ferite e le sue troppe patologie: ma ha evitato che tutto questo diventasse l’ennesima occasione per blandire quella vocazione melodrammatica che costituisce uno dei tratti del carattere nazionale. E, tuttavia, a colpire è stato altro.
Un presidente della repubblica dal percorso eccezionale, anche solo per la sua durata (nove anni), che ha conosciuto durante il suo mandato crisi pesantissime e drammatici conflitti istituzionali e non (fino alla testimonianza resa davanti ai giudici palermitani nel palazzo del Quirinale), ha scelto per l’annuncio delle sue dimissioni e per il suo congedo una cifra di linguaggio e di atteggiamento che nulla ha concesso all’enfasi e, tanto meno, alla celebrazione e all’autocelebrazione.
Un’elegante sobrietà, come se si dimettesse da un modesto incarico nell’amministrazione di un condominio. E parole equilibrate e misurate. Quasi a dire: se non mi preoccupo io, perché mai dovreste preoccuparvi voi? Una lezione di stile.
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