All’origine dei complessi che uomini e donne provano per i propri genitali c’è il divario tra la realtà fisica e la loro rappresentazione mediatica. Il vostro pene o la vostra vulva vi sembrano esteticamente adeguati? Sufficientemente desiderabili? Lo spero per voi. Ma vi faccio una domanda un po’ più infida: ritenete che i vostri genitali corrispondano a ciò che vedete sugli schermi o nei musei (per non dire nella pornografia)? E già che ci siamo: vi sembrano normali?
Lo scarto tra la realtà dei nostri genitali e la loro rappresentazione nei mezzi d’informazione è oggetto di grande attenzione da diversi anni. In genere il discorso si ferma alla pornografia. Ma esistono altri canali di rappresentazione, non meno deformanti. Prendiamo per esempio il mondo dell’arte. Secondo uno studio pubblicato l’anno scorso dal British journal of sexology, negli ultimi sette secoli le dimensioni dei peni raffigurati in pittura e scultura sono costantemente aumentate, con una forte accelerazione nel ventesimo secolo.
E il sesso femminile? Se vi interessa vedere le prime vulve raffigurate, vi consiglio di visitare la mostra su arte e preistoria in corso a Parigi al Musée de l’homme (nome discutibile). Vedrete che le cose non sono granché cambiate: inguini glabri solcati da una piccola linea. Non esattamente un trionfo delle carni, che è invece la (dura) realtà di molte donne.
Oltre ai complessi fisici generali, ormai dobbiamo vedercela anche con quelli genitali. Per capire come funzionano, un recente studio svedese ha indagato nell’intimità di oltre 3.500 individui (Karolinska institute di Stoccolma, settembre 2022). Il risultato, per cominciare dalle buone notizie, è che solo il 3,6 per cento delle donne e il 5,5 per cento degli uomini si dichiara insoddisfatto dei propri genitali. Tutto a posto, quindi?
Troppo, o troppo poco
Insomma. Perché, a scavare, la faccenda si fa più interessante: il 29,8 per cento delle donne e il 38,4 per cento degli uomini si dice insoddisfatto delle dimensioni del proprio sesso. Le donne, in particolare, pensano di avere le labbra “troppo sporgenti” e gli uomini di avere il pene piccolo. I ricercatori gli hanno allora chiesto di misurarseli. Prima scoperta: le labbra delle intervistate sporgevano in media di 7,6 millimetri, mentre i peni in erezione raggiungevano in media i 12,5 centimetri. Dimensioni assolutamente nella media. Non ci sarebbe motivo di avere complessi, a meno di non partire da un’idea sbagliata dell’aspetto che dovrebbero avere questi organi.
C’è un dettaglio che aiuta a mettere a fuoco questo senso d’inadeguatezza: con l’età, le donne perdono i complessi legati all’aspetto dei loro genitali. Gli uomini no. Laddove le donne si rasserenano, gli uomini restano vittime di parametri di prestazione di cui fanno più fatica a sbarazzarsi (non gli farebbe male liberarsi del maschile tossico).
Questo genere di complessi, va da sé, si ripercuote sul piacere, o si traduce in forme di autocensura durante il sesso. E dire che per sentirsi bene con i propri genitali il modo migliore è non alimentare questi complessi: più si evita il sesso, più si evita di ricevere sesso orale, meno opportunità ci sono per scoprire che al nostro partner piacciamo esattamente così. Insomma, se temi di avere una vulva troppo “prorompente”, la soluzione è ricevere molto sesso orale. Mica male, come terapia! Allo stesso modo, diversi studi dimostrano che la nudità (quella vera, libera e condivisa, come si pratica nei campeggi naturisti) rafforza notevolmente la fiducia in sé stessi.
Ma i cunnilingus (sesso orale) e il naturismo, ahimè, non sembrano la soluzione preferita da chi ha dei complessi. I ricercatori del Karolinska institute hanno scoperto con sorpresa che una persona su otto, nel campione preso in considerazione, stava pensando di ricorrere alla chirurgia estetica, nonostante i rischi che comporta e il carattere irreversibile degli interventi, un po’ per superare i complessi, un po’ per “migliorare” ulteriormente l’aspetto di genitali che andavano benissimo così.
Corpo immaginario e corpo reale
La colpa (come spesso pensiamo) è della pornografia? Pare di no: chi valuta la chirurgia genitale non ne consuma più della media. E in ogni caso il porno non sembra alimentare i complessi: i ricercatori osservano che ormai i canoni di bellezza degli organi genitali sono così diffusi che per interiorizzarli basta ascoltare i discorsi delle persone (le battute sui peni piccoli o i commenti sulle donne “troppo navigate” il cui sesso si allargherebbe). I ricercatori evidenziano anche la nudità ingannevole che vediamo nelle serie e nei film, dove sempre più spesso i genitali veri sono camuffati da protesi (finti peni e finte vulve), disegnate rispettando la regola “pene grande/vulva piccola”, e quindi rafforzandola.
Nonostante la censura a cui sono soggetti, anche i social network veicolano complessi. Lo conferma un altro (l’ennesimo) studio, condotto in Turchia e pubblicato nel novembre 2022 dall’International journal of impotence research. In quel caso la squadra di scienziati ha chiesto a degli uomini di seguire su Instagram per sei mesi l’hashtag #penisenlargement (ingrandimento del pene). Al termine dell’esercizio, i partecipanti avevano quasi tutti perso fiducia nell’aspetto del proprio pene. Un risultato ancor più increscioso se si pensa a quanto sono fuorvianti questi post: secondo i ricercatori, solo il 6 per cento contiene informazioni veritiere. Mentre scrivo, i post con l’hashtag #penisenlargement sono 84mila e 53mila quelli con l’equivalente femminile #labiaplasty (labioplastica).
Che conclusioni trarre? Innanzitutto che, a meno di non lavorare in un campeggio naturista o in un centro estetico, è probabile che i nostri occhi vedano più corpi “immaginari” che reali: tra trucco, filtri, ritocchi e processi di selezione delle immagini visibili su ogni supporto, ci abituiamo a corpi dall’aspetto molto liscio, o molto spettacolare. E sono i corpi che ci vengono indicati come desiderabili, nonché quelli che vediamo impegnati a sedurre, baciare, fare l’amore.
Il che ci porta a un paradosso della contemporaneità: benché i nostri corpi si evolvano nella “realtà”, noi vediamo molti più corpi “immaginari”. E il divario tra le due cose si allarga, generando complessi su complessi. Per dirla in altro modo, più si definiscono gli standard di ciò che è attraente, più molti di noi si ritrovano sempre più sprofondati nella “valle del perturbante”, concetto che nasce nella robotica per descrivere il momento in cui i robot arrivano a somigliarci “quanto basta” per farceli sembrare inquietanti. Solo che, anziché trovare “inquietanti” quei corpi irreali, sono i nostri a diventarci estranei. Bella seccatura, quando si tratta di fare l’amore. Non trovate?
(Traduzione di Matteo Colombo)
Maïa Mazaurette è lo pseudonimo di una scrittrice, editorialista, blogger e pittrice francese, nata a Parigi nel 1978. Nelle sue opere tratta principalmente temi legati alla sessualità, al genere, al ruolo delle minoranze e al corpo. In Italia è stato pubblicato il suo libro Il chiodo fisso (Mondadori). Ha una rubrica mensile sul quotidiano francese Le Monde.
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