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Storia della spia al centro delle bugie tra Stati Uniti e Israele

Una manifestazione per chiedere il rilascio di Jonathan Jay Pollard davanti all’ambasciata statunitense di Tel Aviv, in Israele, il 19 giugno 2011. (Oded Balilty, Ap/Ansa)

In questi giorni a Tel Aviv la sua faccia – con la barba folta, i pochi capelli lunghi, gli occhiali rotondi – è su tutti i giornali. Ma quella faccia – la faccia delle foto – ormai ha quasi vent’anni. Nessuno sa quale sia il suo aspetto attuale. Il suo nome, invece, è ancora lo stesso, anche se oggi fa un effetto diverso. Trent’anni fa, quando lo arrestarono, la notizia fece il giro del mondo suscitando sorpresa e scandalo.

Jonathan Jay Pollard è nato nel 1954 a Galveston, in Texas, in una famiglia ebrea e borghese. A 22 anni si è laureato in scienze politiche a Stanford. A 24 provò a entrare nella Cia, ma fu respinto perché la macchina della verità rivelò che aveva fumato marijuana. I servizi segreti della marina invece lo assunsero, perché la Cia non aveva consegnato loro il suo dossier. Pollard si sposò e cominciò a lavorare.

Nessuno lo dice – perché significherebbe rovinare tanti libri e tanti film – ma le spie guadagnano poco, per questo corromperle non costa nulla. Inoltre Pollard voleva avere qualcosa da raccontare, voleva diventare un eroe. Nel 1984 cominciò a passare informazioni militari riservate a un agente israeliano. In seguito disse che lo faceva per convinzione. In cambio ricevette qualche migliaio di dollari, una manciata di gioielli.

La festa, però, durò appena un anno. Un’altra cosa che nessuno dice mai, per non rovinare le leggende, è che gli agenti che fanno il doppio gioco di solito si rovinano per ingenuità e distrazione. Possono spiare perché sono insospettabili, ma quando qualcuno li sospetta di solito li scopre. Un sabato, quando l’ufficio era vuoto, un collega notò sulla scrivania di Pollard alcune cartelle che non corrispondevano con i suoi incarichi. Il lunedì successivo cominciarono gli interrogatori.

Visto che gli Stati Uniti continuano a spiare i loro alleati, la sua storia appare sempre meno sorprendente

All’inizio furono gentili con lui. Forse era tutto un malinteso. Ma Pollard si contraddiceva troppo. Quando si convinsero che era un traditore, arrivò il momento di capire per chi lavorava. All’inizio sospettavano dell’Unione Sovietica, fino a quando, un giorno di novembre del 1985, Pollard e la moglie provarono a rifugiarsi nell’ambasciata israeliana di Washington. Non li lasciarono entrare (ordini dall’alto) e l’Fbi li arrestò sul posto. Fu uno scandalo di proporzioni enormi. Stati Uniti e Israele erano alleati intimi, e si suppone che tra amici non ci si debba spiare.

Gli israeliani negarono tutto, ipotizzando che quella di Pollard potesse essere un’iniziativa individuale non autorizzata. Pollard intanto si presentava come un eroe ebreo, accusando gli Stati Uniti di nascondere informazioni vitali per Israele. Sua moglie apparve in tv e disse che avevano agito spinti “dall’obbligo morale in quanto ebrei ed esseri umani”.

Nel 1987 Jonathan Jay Pollard si dichiarò colpevole e fu condannato all’ergastolo. Nel 1998 il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ammesso ufficialmente che era al servizio di Israele. Da allora il governo israeliano ha chiesto diverse volte la sua liberazione, a volte come contropartita per importanti concessioni in Medio Oriente e altre volte in cambio di agenti russi o statunitensi catturati dai servizi israeliani. Nel 2008 la municipalità di Gerusalemme gli ha intitolato una piazza.

Pollard sta per arrivare alla soglia dei trent’anni in carcere. In un momento in cui gli Stati Uniti continuano a spiare i loro alleati, la sua storia appare sempre meno sorprendente. Pollard era finito nel dimenticatoio fino a quando, pochi giorni fa, la sua faccia (che non è più la sua faccia) è apparsa di nuovo su tutti i giornali israeliani, perché Washington ha annunciato che sarà liberato il prossimo 20 novembre.

Le vite delle persone subiscono inevitabilmente le influenze più strane, e quando queste persone decidono di mettersi nell’occhio del ciclone le influenze esterne diventano ancora più strane. L’accordo tra Iran e Stati Uniti ha mandato su tutte le furie Israele, e la liberazione di Pollard potrebbe essere un gesto di riconciliazione. Le due parti, naturalmente, negano. C’era da aspettarselo, in una storia che è sempre stata fatta di inganni e bugie.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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