“Un casino infernale. Gli anfibi degli agenti rimbombavano sordi inciampando sui contusi e slittando sopra vetri rotti, vestiti strappati, pozzanghere di sangue. Giuro, erano pozzanghere. Dietro la porta che dava sulla palestra notai i primi feriti, piangevano accasciati contro la parete. Urla disumane, terrificanti, sembravano provenire dall’aldilà. Vidi gente calpestata dalle scarpe dei poliziotti … I veri demoni, quelli che hanno approfittato dell’impunità dopo aver goduto a percuotere anziani claudicanti e ragazze nei sacchi a pelo, erano vestiti in jeans e maglietta con il fratino ‘Polizia’.”

È agghiacciante l’ultima testimonianza sull’assalto della polizia alla scuola Diaz nella notte del 21 luglio 2001, piena di dettagli scioccanti, di episodi raccapriccianti. Ma almeno per quanto riguarda la brutalità del pestaggio sistematico che lasciò decine di feriti – alcuni dei quali gravissimi – non fornisce novità dirompenti. Chi, come l’autore di questo blog, vide le barelle che uscivano dalla Diaz in quella notte, chi ascoltava le testimonianze delle vittime durante il processo a 25 poliziotti già si era fatto una idea ben precisa su quella “macelleria messicana” (così la descrisse Michelangelo Fournier, uno dei comandanti presenti sul luogo) che concluse il G8 di Genova.

Ma quest’ultima testimonianza è ugualmente dirompente. Infatti proviene da uno degli ufficiali di polizia condannati per l’irruzione: da Vincenzo Canterini, a suo tempo comandante del primo reparto mobile di Roma, quindi di quei “celerini” che partecipavano all’assalto alla Diaz.

Condannato a cinque anni di carcere (di cui tre condonati grazie all’indulto del 2006), allontanato dalla polizia, ora vuota il sacco (nel libro scritto con Gian Marco Chiocci e Simone Di Meo,

Diaz). E non racconta solo dei “lamenti e gemiti spettrali” che ascoltò in quella notte, ma dipinge un quadro scandaloso, parla di una “rappresaglia scientifica”, “uno show studiato a tavolino”: “L’operazione era stata pensata, ideata, orchestrata e coordinata come dura risposta dello stato che fino a quel momento s’era fatto trovare impreparato in occasione del summit mondiale”.

Non sfugge al lettore il fatto che Canterini si sforzi di minimizzare il proprio ruolo così come quello degli uomini del suo reparto nell’azione cruenta, presentata nel libro come puro atto vendicativo. Non sfugge neanche il fatto che lui ritrovi la parola soltanto a processo concluso. Ma alcune domande poste da lui meriterebbero ugualmente una risposta che neanche il processo concluso con la sentenza del 3 luglio 2012 (con condanne a 16 ufficiali della polizia) ha saputo fornire. Non è mai stato chiarito quale fosse la catena di comando in quella notte: chi diede, in ultima istanza, l’ordine di attaccare i manifestanti nella scuola? E quale ruolo avevano i tanti poliziotti in borghese, quelli che Canterini chiama “demoni”, nell’operazione? Canterini insinua una possibilità assai inquietante: che sia stato all’opera un reparto segreto, il “Gos” (Gruppo operazioni speciali).

Domande che meriterebbero una risposta. Che meriterebbero almeno una discussione. Ma non ci sono state reazioni al libro Diaz. Non hanno reagito i poliziotti – e coimputati al processo – tirati in ballo da Canterini, non hanno reagito politici, non hanno reagito neanche i mezzi d’informazione. Il quadro che Canterini dipinge – di una polizia che agiva in perfetta illegalità – dovrebbe causare maggiori preoccupazioni per la salute di una democrazia in cui fatti simili sono possibili. Ma finora la risposta è stata solo un silenzio assordante.

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