Silvio Berlusconi è raggiante. L’assoluzione della cassazione ha allontanato per un bel po’ lo spettro di un’altra pesante condanna. E l’attempato leader pare deciso ad andare subito all’incasso. Vuole di nuovo “scendere in campo”, riprendersi le redini di Forza Italia, di più, tornare leader del centrodestra, a cominciare dalla campagna elettorale per il voto regionale in primavera.
Tutto ciò ha qualcosa di surreale, a cominciare dall’aspetto giuridico. Berlusconi e i suoi seguaci festanti ci vogliono far credere che lui, povero perseguitato politico, sia di nuovo senza macchia. Ma già il fatto che tutti i mezzi d’informazione lo chiamino ormai “ex cavaliere” ci racconta un’altra storia. È “ex” in quanto condannato in via definitiva a una pena di quattro anni per frode fiscale. Per questo motivo non è solo ex cavaliere, ma anche ex senatore, cacciato ignominiosamente dal parlamento e non ricandidabile.
Inoltre, anche se sul “Rubygate” l’ha fatta franca, Silvio non è affatto un “ex indagato”. Sono ancora in corso altri due procedimenti contro lui. Il primo a Milano (“Ruby ter”) per la presunta compravendita delle testimonianze di tutte quelle ragazze che hanno dichiarato in tribunale quanto fossero innocue le famose cene eleganti con qualche spettacolino di varietà. Il secondo a Napoli, dove Berlusconi è imputato per un altro presunto incauto acquisto: quello dei voti di senatori del centrosinistra che nel 2008 fecero cadere il governo Prodi.
Fa parte delle bizzarrie della cultura politica italiana che un personaggio con un tale pedigree processuale possa restare capo di un importante partito, e che possa ambire addirittura a guidare l’opposizione di destra.
Ma c’è da dubitare che questa volta l’operazione amnesia funzioni come in passato e che Berlusconi torni ai vecchi splendori. Non è tanto una questione di età anagrafica o di fedina penale, quanto di fase politica. Negli anni tra il 1994 e il 2010 il vecchio mattatore aveva avuto successo grazie al suo populismo da bella stagione, fatto di promesse mirabolanti, dal “milione di posti di lavoro” al “meno tasse per tutti” alla “sconfitta definitiva del cancro entro pochi anni”. Quel populismo non prevedeva la crisi: quando questa ha fatto irruzione nel 2009, Berlusconi ha continuato con il vecchio registro, farneticando di ristoranti o aerei sempre pieni.
Oggi è molto più promettente un populismo cattivo, da brutta stagione. Come quello coltivato con successo da Matteo Salvini, che a forza di gridare “fuori dall’euro!” o “stop all’invasione degli immigrati!” vuole rappresentare rabbie e frustrazioni, non speranze e illusioni. E Berlusconi? Lui non sa a che santo votarsi, stretto tra i due Mattei come tra Scilla e Cariddi. Da un lato ha dialogato per mesi con Renzi sulle riforme, costituzionale ed elettorale, dall’altro lato vorrebbe l’alleanza con Salvini in vista delle elezioni regionali di maggio.
Il risultato di questo approccio ondivago è sotto gli occhi di tutti: Forza Italia è allo sbando. Gli uni – i seguaci di Denis Verdini – hanno preso gusto a fare i partner di complemento del governo Renzi. Gli altri – i fedeli di Raffaele Fitto – vogliono una linea di dura opposizione al governo per non darla vinta a Salvini nella lotta per la supremazia a destra. E questo conflitto avviene in un clima di crescente panico, da “si salvi chi può”. È questo il vero problema Berlusconi, che non può essere risolto dalla sua assoluzione: l’ex cavaliere è circondato da ex fedeli, da uno stuolo crescente di persone che non si attendono più la salvezza da lui e dalle sue capacità taumaturgiche. Grazie alla cassazione il viale del tramonto forse sarà meno avvilente. Ma il tramonto è inarrestabile.
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