Essere condannati per tortura non è uno scherzo, almeno non per una democrazia europea. Lo è ancora meno se a esprimere quel giudizio è la corte europea per i diritti umani. Per esempio in Germania l’eco mediatica è stata devastante per l’Italia: tv e giornali hanno dato grande risalto alla notizia.

Gianni De Gennaro, il 26 giugno 2013. (Angelo Carconi, Ansa)

E almeno questa volta, finalmente, dopo quasi 15 anni dai fatti del G8 del 2001, la politica reagisce. Il presidente del Partito democratico (Pd), Matteo Orfini, con un semplice tweet ha chiesto a Gianni De Gennaro, a suo tempo capo della polizia e oggi presidente di Finmeccanica, di farsi da parte e rassegnare le dimissioni. Deborah Serracchiani invece, vicesegretaria del Pd, lascia il caso alla coscienza di De Gennaro.

Alla buon’ora, viene da dire. Certo, De Gennaro è stato assolto – nell’unico processo a suo carico – dall’accusa di aver influenzato l’allora questore di Genova affinché rendesse una testimonianza che lo discolpasse da ogni responsabilità per l’assalto della polizia alla scuola Diaz. Ma, argomenta chi oggi chiede la sua testa, De Gennaro è comunque politicamente responsabile per i fatti sanguinosi di quella notte.

Matteo Renzi da parte sua si astiene da ogni commento sulla persona dell’ex capo della polizia. Si limita ad affermare: “Quello che dobbiamo dire lo dobbiamo dire in parlamento con il reato di tortura”. Quindi uno dei massimi esponenti del Pd – Orfini – chiede ad alta voce la testa di De Gennaro e il capo del governo assicura che finalmente la legge sulla tortura sarà varata. Tutto bene quindi?

Qualche dubbio è lecito. Non è affatto mia intenzione difendere Gianni De Gennaro. Ma sembra curioso isolare il suo caso personale e, allo stesso tempo, derubricarlo a una questione di “responsabilità politica”. La vera questione è un’altra. Anche se lui se ne va da Finmeccanica, anche se la legge sulla tortura sarà approvata, cosa cambia nella polizia italiana?

Infatti le violenze di stato, commesse alla scuola Diaz, nelle strade di Genova, alla caserma di Bolzaneto dove sono stati torturati molti ragazzi fermati – scommettiamo che un’altra sentenza della corte europea appurerà anche questi fatti? – hanno avuto un lunghissimo strascico, fino a oggi. De Gennaro è stato capo della polizia fino al 2007. Sotto la sua guida, ma anche sotto i suoi successori, i vertici della polizia non hanno certo brillato per spirito collaborativo con la procura di Genova quando si trattava di identificare i poliziotti presenti alla Diaz. Per esempio hanno fornito foto degli uomini in divisa in gran parte inutili, per il semplice fatto che erano vecchie di vent’anni.

E, peggio ancora, non si è fatto niente per perseguire a livello disciplinare chi tra gli uomini in divisa si era macchiato di crimini. L’argomento: prima si devono attendere le sentenze dei tribunali. Nel frattempo molti degli imputati hanno fatto brillanti carriere all’interno degli apparati di sicurezza statali. Quando poi la sentenza sulla Diaz è arrivata, alcuni funzionari hanno dovuto lasciare la polizia. Ma c’è per esempio chi ha subito trovato un nuovo lavoro in Finmeccanica, azienda controllata dallo stato. Di più: decorsi i cinque anni dalla sentenza, nel 2017, i condannati potrebbero tranquillamente tornare in polizia.

Non sono invece usciti dai ranghi della polizia neanche per un giorno coloro che hanno goduto della prescrizione del reato: non risultano procedimenti disciplinari a loro carico. Qui siamo molto oltre le responsabilità personali di chi nei vari anni era al vertice. Qui siamo a una sistematica condotta istituzionale, condotta impensabile del resto senza il placet del ministro dell’interno e del governo tutto, una condotta mai cambiata nel corso degli anni. Sono questi i problemi da affrontare. Altrimenti sacrificare De Gennaro come capro espiatorio non servirà a niente se non a distrarre l’attenzione.

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