Leader che vanno, leader che vengono: mentre Nicola Zingaretti fa le valigie come segretario del Partito democratico (Pd), Giuseppe Conte si accinge a prendere le redini del Movimento 5 stelle (M5s). L’effetto del governo Draghi sulle due forze che avevano dato vita alla precedente coalizione giallorossa non poteva essere più immediato: questo governo “di salvezza nazionale” mette a fortissimo rischio la salvezza sia del Pd sia dell’M5s.

La dice tutta il fatto che il mite Zingaretti, per comunicare le sue dimissioni, abbia scelto toni durissimi: “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da venti giorni si parli solo di poltrone e primarie”. Da qui arriva a uno scenario apocalittico: “Il Pd non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa di una guerriglia quotidiana. Questo, sì, ucciderebbe il Pd”.

La guerriglia quotidiana è sotto gli occhi di tutti ed è stata scatenata dal fatto che con la fine del governo Conte II è venuto a mancare il collante che evitava i conflitti: disponendo di una maggioranza spuria quella coalizione non lasciava molti spazi alle offensive delle minoranze interne, a meno che non volessero rischiare, insieme alla fine del governo, anche la fine della legislatura. Invece il varo del governo Draghi – che vede dentro tutti i partiti a eccezione di Fratelli d’Italia – ha fatto venire meno il rischio che le guerre interne al Pd potessero portare a elezioni anticipate.

Un film già visto
Va aggiunto che la malattia del Pd si manifesta ora ma ha cause ben lontane. Sembra tutto un déjà vu: in 14 anni il Pd ha cambiato dieci segretari, due dei quali ad interim, e ogni volta abbiamo studiato sui giornali gli organigrammi delle molteplici correnti, abbiamo letto dei conflitti interni in un partito incapace di arrivare a una sintesi che durasse più di una mattina. È un film che abbiamo rivisto, di volta in volta, fin dalla sua nascita nel 2007.

Allora si diede vita a una forza che pretendeva di essere “maggioritaria” ma che, a parte questo, non sapeva bene cosa voleva, qual era la sua identità. Quella situazione è peggiorata con l’arrivo di Matteo Renzi, forte del suo progetto di riposizionamento lungo le linee di una “terza via” che si ispirava a Blair e a Clinton, fuori tempo massimo. Da allora il Pd si è presentato spaccato e dilaniato da forti rancori politici e altrettanto forti odi personali.

Nel marzo 2019 l’arrivo di Zingaretti alla segreteria aveva dato l’impressione di una nuova ripartenza. Il segretario cercava di esercitare una leadership ecumenica, ma allo stesso tempo di riposizionare cautamente il partito a sinistra. Tuttavia, la ripartenza si è rivelata un’illusione. Il fatto che Zingaretti concepisca il centrosinistra come l’alleanza tra Pd, cinquestelle e Liberi e uguali (LeU) , tenendo fuori Italia viva, non gli viene perdonato dai vecchi seguaci di Renzi rimasti nel partito. Politici ancora oggi più vicini al loro vecchio leader, ormai a capo di un altro partito, che non al segretario del proprio.

Le vie d’uscita da questo pantano non si vedono. Zingaretti ci ha provato, proponendo un congresso tematico per ragionare insieme sulla ragione sociale dell’impresa chiamata Pd. Invece i suoi avversari volevano il suo scalpo, seppellendo così anche il progetto di alleanza con l’M5s. Se Zingaretti non dovesse ritirare le dimissioni lo scalpo l’avrebbero. Ma lo scontro nel Pd continuerebbe peggio di prima, e il declino del partito – finora frenato dal segretario uscente – continuerebbe.

L’M5s cerca invece l’ancora di salvezza in Giuseppe Conte, presentandoci lo strano spettacolo di una forza politica che chiama come capo uno che non è neanche iscritto a quel partito. Nell’immediato quest’operazione può funzionare, malgrado gli addii di leader come Alessandro Di Battista e le tante espulsioni di persone di primo piano come Nicola Morra o Barbara Lezzi. Ma anche l’M5s dovrà capire cosa vuole fare da grande, qual è la sua identità. Beppe Grillo ci prova riposizionando il movimento sui temi ecologisti delle origini e su un forte profilo sociale. Se basta è tutto da vedere. Ma il visionario Grillo è abbastanza realista: ha capito che questa via è l’unica possibilità.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it