Alla fine di febbraio, l’omicidio del reporter investigativo slovacco Ján Kuciak e della sua fidanzata Martina Kušnírová hanno sconvolto il paese. In pochi giorni, si sono diffuse proteste di massa contro la corruzione, che hanno costretto alle dimissioni il primo ministro Robert Fico e spinto la coalizione di governo di centrosinistra verso la crisi. Per ora, il rischio di elezioni anticipate è stato evitato, ma le conseguenze di questi eventi lanciano un forte messaggio che va oltre questo piccolo paese dell’Europa centrale.
Cominciamo dagli omicidi. In meno di un anno è il secondo assassinio di rilievo di un giornalista investigativo in uno stato dell’Unione europea, dopo la morte di Daphne Caruana Galizia a Malta. Come lei, Kuciak non stava solo indagando sui crimini finanziari in atto nel suo paese, ma anche sui legami locali con la criminalità internazionale e l’evasione fiscale portata a galla dai Panama papers. Kuciak aveva solo 27 anni, ma secondo i suoi colleghi era uno dei migliori nella ricerca di dati e lavorava in stretta collaborazione con altri giornalisti nella Repubblica Ceca e in Italia.
La forza di un’indagine giornalistica
Le autorità slovacche hanno costruito la più grande squadra investigativa nella storia del paese, assistiti da colleghi italiani e cechi, ma anche dall’Europol e dall’Fbi. Nel frattempo, gli organizzatori delle proteste, per la poca fiducia che nutrono verso la polizia slovacca, hanno richiesto una squadra investigativa internazionale congiunta.
L’omicidio di Kuciak ci ricorda in modo tragico che in alcuni paesi dell’Ue le istituzioni che devono far applicare le leggi non svolgono (o non gli è permesso di svolgere) il loro lavoro, e tocca a coraggiosi reporter rischiare la propria vita. Questo rende attraenti ai fini del riciclaggio di denaro i paesi periferici dell’eurozona che hanno strutture statali deboli e trascorsi di favoritismi politici. In un contesto del genere, giornalisti investigativi coraggiosi e capaci, legati a reti d’inchiesta internazionali, rappresentano una forte minaccia per la criminalità organizzata.
Ma questo non riguarda solamente Malta e la Slovacchia. Ci sono diversi paesi dell’Unione europea con simili problemi di corruzione e forze dell’ordine deboli. E questo è una sfida per le istituzioni dell’Ue. Il Parlamento europeo ha inviato a Bratislava una delegazione scelta ad hoc che ha pubblicato un importante rapporto i cui risultati sono stati discussi nella seduta del parlamento del 14 marzo dedicata alla sicurezza dei giornalisti in tutta l’Unione. Tuttavia, non è chiaro quali saranno le prossime tappe. I rappresentanti della delegazione Ue si sono fortemente stupiti nel trovare una diffusa diffidenza verso le istituzioni statali, in particolare verso la polizia e le altre forze dell’ordine.
Protesta senza precedenti
Forse l’assassinio di Kuciak e Kušnírová spingerà verso un approccio più sistematico al livello europeo, che comprenda un nuovo meccanismo di supporto ai giornalisti e alle organizzazioni della società civile che affrontano i problemi legati a corruzione e stato di diritto, soprattutto in stati che presentano una forte sfiducia verso le forze dell’ordine. Questa è l’occasione per rispettare la richiesta di “più Europa” proveniente dagli organizzatori delle proteste slovacche, supportata sulla carta anche dal governo di Bratislava, in difficoltà ma comunque filoeuropeo.
Inoltre, i due omicidi hanno alimentato una fortissima rabbia contro la corruzione e contro i mancati sforzi del governo per affrontare la questione. In pochi giorni, la rabbia è sfociata nella più grande protesta di piazza dai tempi del comunismo: Bratislava ha mezzo milione di abitanti e una manifestazione di 40mila persone rappresenta un fatto di assoluto rilievo.
Organizzate da attivisti locali, le manifestazioni si sono svolte in 50 città del paese e addirittura hanno manifestato slovacchi espatriati in tutto il mondo, da Vancouver a Monaco di Baviera. Le loro richieste principali erano un paese onesto, istituzioni indipendenti e uno stato di diritto più forte. Questo è un segnale molto incoraggiante in un periodo di apatia politica. Ma sarà abbastanza per ottenere miglioramenti duraturi e costruire un paese onesto?
Inoltre, la crisi politica slovacca continua ad accentuarsi. Le proteste a poco a poco si sono rivolte contro il governo di Robert Fico. Il suo partito populista socialdemocratico Smer (Direzione) è stato al potere per buona parte degli ultimi dodici anni. Sebbene i timori di corruzione fossero già esistenti in precedenza, la mole di scandali e conflitti d’interesse che coinvolgono la leadership di Smer ha raggiunto livelli inediti. E per il momento nessuno di loro è stato ancora sottoposto a indagine.
Questo paradosso è stato recentemente riassunto dall’Economist: solo sei delle oltre 800 persone processate e condannate per corruzione dal 2012 erano funzionari pubblici, e tra questi la persona con il grado più alto era un sindaco di una città con meno di duemila abitanti. Questi numeri non possono che condurre a un crollo nel consenso per il partito di governo: un recente sondaggio dell’agenzia Focus mostra un consenso al 20 per cento per il governo, in calo del 5 per cento rispetto al mese scorso, prima dello scoppio delle proteste, mentre il 62 per cento degli slovacchi voleva le dimissioni di Fico.
Un leader in declino
Fico è stato considerato come uno dei leader di centrosinistra di maggior successo. Nel 2012, il suo partito aveva ottenuto il 45 per cento dei voti, che gli hanno permesso di formare un governo sostenuto da una maggioranza assoluta. Bisogna dargli atto di essere stato attento a non seguire le orme del vicino ungherese, Viktor Orbán, nella repressione della democrazia e nella limitazione delle libertà civili e politiche.
Allo stesso tempo, anche se molti partner europei e nazionali tiravano un sospiro di sollievo, la macchina di partito si è impossessata del controllo dei flussi di denaro pubblico e si è intrecciata con le grandi aziende più di qualunque altro governo precedente. Era solo questione di tempo prima che l’opaca bolla di corruzione esplodesse.
Il 4 marzo, il presidente slovacco Andrej Kiska ha invocato un serio rimpasto di governo o elezioni anticipate. Il combattivo Fico ha risposto accusando Kiska di cospirare con il filantropo americano George Soros, già bersaglio di una brutale campagna di Orbán. È stato troppo anche per il partito di minoranza della coalizione, i liberali di Most-Hid (Ponte). Le elezioni anticipate sono diventate l’unica soluzione credibile per placare le crescenti proteste nel paese, e i partiti di governo hanno avviato colloqui per fissare possibili date.
Gli ultimi sviluppi costituiscono un segnale preoccupante per la Slovacchia, ma anche per l’Europa centrale e orientale
Infine, Fico ha annunciato di aver ottenuto un accordo dell’ultimo minuto per salvare la coalizione di governo composta da tre partiti e di essere pronto a dimettersi, cosa che ha fatto il 15 marzo, ma solo dopo che il presidente aveva accettato di permettere al partito di Fico di nominare il capo del nuovo governo.
Il neodesignato primo ministro è Peter Pellegrini, un deputato dello Smer ed ex presidente del parlamento, che finora può vantare un curriculum relativamente pulito. Fico, che mantiene la posizione di segretario del partito, continuerà a muovere i fili da dietro le quinte. Il suo screditato modello di governance, basato su favoritismi, resterà in vigore, solo con una migliore immagine pubblica. Sarà sufficiente a calmare le acque?
Gli ultimi sviluppi costituiscono un segnale preoccupante per la Slovacchia, ma anche per l’Europa centrale e orientale. Con l’eccezione delle illiberali irriducibili Polonia e Ungheria, è molto difficile prevedere che politica ci aspetta nel 2020.
(Traduzione di Andrea Torsello)
Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista polacca Visegrad Insight.
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