L’antieuropeismo sfrutta anche la tragedia di Genova
Dopo che il crollo del ponte a Genova ha ucciso decine di persone, il viceministro italiano di estrema destra Matteo Salvini si è scagliato contro l’Unione europea. “Se ci sono vincoli europei che ci impediscono di spendere soldi per mettere in sicurezza le scuole dove vanno i nostri figli o le autostrade su cui viaggiano i nostri lavoratori, metteremo davanti a tutto e a tutti la sicurezza degli italiani”, ha scritto il leader della Lega su Twitter. Tutti gli antieuropeisti amano presentarsi come ribelli e nemici delle élite, ma in molti casi il loro comportamento non ha nulla di nuovo. Non offrono soluzioni e il loro cinismo è sfacciato.
Il timore è che i populisti di destra e di sinistra possano dare retta al messaggio di Salvini, anche se senza ripeterlo. E che puntino il dito contro le misure di austerità a cui l’Italia è stata sottoposta dopo la crisi nell’eurozona. Per loro non ha alcuna importanza che l’Unione non imponga alcun vincolo sul modo in cui un governo spende le proprie risorse. Né che secondo le ultime rivelazioni solo il 12 per cento dei 40mila ponti tedeschi sia in buone condizioni – e questo in un paese che nel 2017 ha fatto registrare un avanzo di bilancio record di 38,4 miliardi di euro.
La magistratura italiana stabilirà quali sono le cause del disastro di Genova, magari riscontrando che alcuni standard dell’Unione non sono stati rispettati nella manutenzione del ponte. Per il momento la reazione di Salvini è l’ennesima conferma della facilità con cui si dà la colpa all’Ue quando qualcosa va storto (in questo caso con conseguenze tragiche), mentre quasi mai è elogiata quando le notizie sono buone.
Una storia lunga
L’antieuropeismo ha una storia lunga e complessa. L’ostilità nei confronti del progetto europeo c’è stata fin dall’inizio. Mentre Salvini e i suoi alleati attaccano l’Unione, vale la pena mettere le cose nella giusta prospettiva e ricordarci quanto siano arretrate le loro idee. Un libro recente dello storico francese Bernard Bruneteau, Combattre l’Europe. De Lénine à Marine Le Pen, offre un adeguato contesto storico.
La parola “euroscettico” è comparsa per la prima volta in un articolo pubblicato dal Times nel 1985, per descrivere i conservatori britannici che si opponevano all’Atto unico europeo. Ma l’euroscetticismo esisteva già da decenni: settant’anni prima, Lenin sosteneva che “gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico sarebbero impossibili o reazionari”, mentre la pace “borghese” che sarebbe risultata da un accordo simile avrebbe avuto “come obiettivo unico quello di soffocare il socialismo in Europa”.
Oggi il sentimento contro l’Unione è spesso attribuito all’estrema destra e alla sua ossessione nazionalista, ma anche la sinistra europea in passato si è opposta strenuamente al progetto. Nella Francia degli anni cinquanta, il potente Partito comunista prevedeva che il paese sarebbe diventato “una succursale della Ruhr e una colonia americana”, mentre gli statalisti e i gaullisti temevano di perdere la sovranità nazionale, riconquistata dopo la guerra e l’occupazione. Vi ricorda qualcosa?
Durante la guerra fredda l’internazionalismo anticapitalista della sinistra radicale europea si concentrava sull’ideale di unire l’umanità, ma non l’Europa. La logica era che, considerando i loro istinti imperialisti, gli europei non meritavano di essere ricompensati con un progetto che avrebbe potuto rafforzarli. Ancora oggi è possibile ritrovare tracce di questo ragionamento nelle critiche che arrivano dalla sinistra radicale: la priorità dell’Europa dovrebbe essere quella di pentirsi dei suoi crimini coloniali, non quella di tentare di modellare il mondo.
Gli euroscettici hanno molto in comune, ma ci sono anche molti aspetti che li dividono
Il sentimento antitedesco è un altro aspetto tradizionale dell’euroscetticismo, e non è certo appannaggio esclusivo della destra. Basti l’esempio di Jean-Luc Mélenchon, leader dell’opposizione di sinistra in Francia, che il mese prossimo parteciperà a un evento a margine della conferenza laburista. Di sicuro a Mélenchon il paragone non piacerebbe, ma è innegabile che la sua idea di un’Unione europea come “nuovo impero tedesco” ricordi parecchio la tesi di Donald Trump secondo cui l’Europa sarebbe “uno strumento della Germania”.
In Scandinavia, a cominciare dalla Danimarca, l’ostilità contro il progetto europeo ha una storia decennale, radicata nella preoccupazione che possa minacciare il modello di welfare sviluppato all’inizio del ventesimo secolo.
Per quanto riguarda l’Europa orientale, si dice spesso che l’insoddisfazione degli stati dell’est derivi dalla crisi dei profughi del 2015, ma non bisogna dimenticare che Václav Klaus, presidente della Repubblica Ceca dal 2003 al 2013 e fervente ammiratore di Margaret Thatcher, ha criticato l’Unione perfino quando il suo paese è entrato a farne parte : “Stiamo guadagnando qualcosa ma stiamo anche perdendo qualcosa”. Alla fine degli anni novanta avevo chiesto a un ministro del governo polacco cosa si aspettasse dall’Europa. “Un’Europa di cattedrali”, mi aveva risposto. Non esattamente quello che avevano in mente i leader dell’Unione.
Volti nuovi, vecchie ideologie
La lista delle diverse espressioni di antieuropeismo non è solo lunga, ma anche ricca di apparenti paradossi. Per esempio, chi si ricorda che il partito di Marine Le Pen (all’epoca guidato dal padre) è diventato un nemico del progetto europeo solo all’inizio degli anni novanta? Prima di allora, il Front national considerava l’Europa unita come uno strumento di protezione contro l’Unione Sovietica.
È facile dimenticarlo in un momento in cui i populisti antieuropei come Salvini e l’ungherese Viktor Orbán conquistano le prime pagine – per non parlare dell’ex stratega di Donald Trump, Steve Bannon, impegnato a creare un movimento paneuropeo antiSoros a Bruxelles – ma l’ostilità verso l’Europa è nata molto prima dell’attuale ondata populista. L’antieuropeismo di oggi mostra facce nuove, ma le ideologie sono vecchie.
Un ottimista potrebbe pensare che se l’Europa è riuscita a costruirsi nonostante un’opposizione così radicata al suo interno, potrebbe avere una buona possibilità di superare le difficoltà attuali. Finora gli allarmi su un possibile crollo dell’Unione sono stati largamente esagerati. D’altronde gli antieuropeisti non offrono nulla che somigli vagamente a un piano alternativo per i loro paesi, fatta eccezione per un pericoloso salto nel vuoto. Lo scoramento che ha travolto il Regno Unito dopo il voto sulla Brexit è un esempio evidente. Gli euroscettici hanno molto in comune, ma ci sono anche molti aspetti che li dividono, sia in campo economico sia rispetto al tema dell’identità. Questo significa che difficilmente riusciranno a mettersi d’accordo e a trasformarsi in una palla da demolizione per distruggere tutto.
A tutto questo, un pessimista potrebbe rispondere: vedrete cosa accadrà quando ci proveranno sul serio. A Genova i soccorritori stavano ancora tirando fuori i cadaveri dalle macerie quando Salvini ha deciso di non lasciarsi scappare l’occasione di politicizzare la tragedia e gettare benzina sul fuoco dell’antieuropeismo. E questo la dice lunga.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.
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