La conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico riunita a Durban, in Sudafrica, deve decidere cosa fare del protocollo di Kyoto. Gli Stati Uniti comunque non l’avevano firmato. Un titolo del New York Times coglie bene l’atmosfera che ha preceduto la conferenza: “Problemi urgenti ma aspettative scarse”. Mentre i delegati si incontrano a Durban, una serie di sondaggi realizzati dal Council on foreign relations e dal Program on international policy attitudes (Pipa) rivela che “negli Stati Uniti e nel resto del mondo l’opinione pubblica pensa che i governi dovrebbero attribuire una priorità più alta al problema del riscaldamento globale e appoggiare gli interventi multilaterali per affrontarlo”.

È d’accordo anche la maggioranza degli statunitensi, benché il Pipa precisi che “oggi gli americani sono meno preoccupati della media dei cittadini del mondo, si parla del 70 per cento contro l’84. La grande maggioranza ritiene che un giorno sarà investita dalle conseguenze del cambiamento climatico, ma solo una minoranza pensa di esserne già colpita, contrariamente a quanto si pensa in quasi tutti gli altri paesi”. Non sono risposte casuali.

Nel 2009 le industrie energetiche, sostenute dalle lobby, hanno fatto grandi campagne per sollevare dubbi sul parere quasi unanime degli scienziati convinti della gravità della minaccia del riscaldamento del pianeta. E anche i mezzi d’informazione trattano l’argomento in modo teoricamente “equilibrato”: la maggioranza degli studiosi e i negazionisti sono messi sullo stesso piano, e gli scienziati che fanno le previsioni più pessimistiche sono per lo più ignorati. Uno degli effetti è che neanche un terzo degli statunitensi è convinto che gli scienziati concordino sulla minaccia del riscaldamento globale.

Per ampliare la prospettiva su ciò che sta accadendo nel mondo, a volte è utile mettersi nei panni di extraterrestri intelligenti che osservino le stranezze di noi terresti. Questi E.T. resterebbero allibiti nel vedere il paese più ricco e potente della storia del mondo mettersi alla testa dell’esercito che marcia allegramente verso l’abisso.

Il mese scorso, l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) ha pubblicato il suo ultimo rapporto sul rapido incremento delle emissioni di anidride carbonica dovute all’impiego di combustibili fossili (petrolio, carbone e gas). Secondo le stime dell’Aie, se il mondo continua a comportarsi come adesso, il carbon budget sarà sforato entro il 2017. Questo bilancio rappresenta la quantità di emissioni che può mantenere il riscaldamento del pianeta su quei 2 gradi centigradi considerati come il livello di sicurezza.

Sempre il mese scorso, il dipartimento dell’energia degli Stati Uniti ha reso note le cifre riguardanti le emissioni di anidride carbonica del 2010. Come riferisce l’Associated Press, queste “hanno compiuto il balzo più grande mai registrato”, cioè “i livelli di gas che producono l’effetto serra sono più elevati che nello scenario peggiore” previsto nel 2007 dal Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (Ipcc).

In coincidenza con la pubblicazione di questi allarmanti rapporti, il Financial Times ha dedicato una pagina alle ottimistiche attese secondo cui gli Stati Uniti potrebbero diventare autosufficienti sul piano energetico per un secolo grazie a nuove tecnologie per l’estrazione di combustibili fossili in Nordamerica. Benché le proiezioni siano tutt’altro che certe, secondo il Financial Times gli Stati Uniti potrebbero “scavalcare l’Arabia Saudita e la Russia diventando il primo produttore mondiale di idrocarburi liquidi (petrolio greggio e gas naturali liquidi più leggeri)”. Così gli Stati Uniti potrebbero conservare la loro egemonia sul resto del mondo.

Al di là di qualche osservazione sull’impatto ambientale a livello locale, il Financial Times non dice nulla su che razza di mondo verrebbe fuori da questo quadro entusiasmante. L’energia serve per essere bruciata, e al diavolo l’ambiente.

Quasi tutti i governi stanno facendo almeno dei passi esitanti per affrontare la catastrofe probabile e imminente. Gli Stati Uniti sono alla testa della marcia… indietro. La camera dei rappresentanti di Washington, a grande maggioranza repubblicana, sta smantellando le misure di protezione ambientale introdotte a suo tempo da Nixon. Questo comportamento reazionario non è che uno dei numerosi indizi della crisi che ha colpito la democrazia statunitense in quest’ultima generazione.

Il divario tra opinione pubblica e scelte dei politici è sempre più grande, soprattutto su temi fondamentali come il deficit e l’occupazione. Ma grazie a una vera e propria offensiva propagandistica questo divario è minore di quanto dovrebbe sul problema più grave che ci sia oggi all’ordine del giorno del mondo.

Si potranno quindi perdonare gli ipotetici extraterrestri, se arrivano alla conclusione che siamo tutti affetti da una forma micidiale di follia.

*Traduzione di Marina Astrologo.

Internazionale, numero 927, 8 dicembre 2011*

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