Il parlamento turco ha approvato lo scrutinio lampo richiesto dal presidente Recep Tayyip Erdoğan e il 24 giugno in Turchia si terranno queste “elezioni finali”. Non sono solo io a definirle così. Anche i politici del partito al potere, l’Akp, e i loro sostenitori nei mezzi d’informazione sottolineano che non sarà uno scrutinio ordinario, ma anzi sarà fondamentale per cambiare l’intero sistema.

Ho scritto molte volte che in questo momento la Turchia si trova in un limbo. Il vecchio sistema è finito ma il nuovo non si è ancora affermato, e le prossime elezioni potrebbero consentire un cambio di regime. Alla metà di aprile questa interpretazione è stata confermata dalla più alta autorità, quando Erdoğan ha giustificato la necessità di elezioni anticipate per “completare il processo politico” cominciato con il referendum dell’aprile 2017.

Una nuova ideologia ufficiale
Il vero momento decisivo è stato il periodo seguente al tentativo di colpo di stato del luglio 2016, che ha segnato la fine della “vecchia” Turchia e l’inizio della “nuova”. Con la parola “nuova” non si intende un semplice cambiamento del sistema politico, che da parlamentare diventerebbe presidenziale, bensì una trasformazione totale del vecchio regime repubblicano. Anche se gli ambienti della maggioranza non hanno mai chiarito cosa intendano con “vecchia Turchia”, i politici al governo e i loro sostenitori hanno espresso in modo piuttosto esplicito il loro malcontento contro il secolarismo kemalista e filoccidentale.

Il regime kemalista ha smesso da tempo di definire la vita politica in Turchia: dagli anni cinquanta sono i partiti politici di destra a dare forma all’ideologia politica. Tuttavia questo non ha impedito al risentimento conservatore/islamista di alimentare per qualche tempo il partito al governo. Oggi, dicono, è giunto il momento di risvegliarsi completamente, introducendo con forza una nuova ideologia ufficiale.

Non può esserci spazio per l’opposizione politica. Questa è la nuova normalità in Turchia

Secondo questa ideologia, il processo di modernizzazione e secolarizzazione, in corso da due secoli (con l’eccezione dell’epoca del sultano ottomano Abdulhamid II) non è stato altro che un tradimento storico dell’identità musulmana turca. Mentre l’opposizione repubblicana individua nel nuovo sistema presidenziale il problema dell’accumulo di potere nelle mani di un solo uomo e un rischio per le libertà, il partito al governo si giustifica invocando la necessità di un’autorità priva di intralci per “correggere gli errori della storia”.

L’attuale criminalizzazione di tutte le opposizioni, ritenute parte di un tentativo di minare la sopravvivenza del paese, non è solo una strategia elettorale, rappresenta un fondamento della nuova ideologia ufficiale. Poiché l’“interesse nazionale” è definito con i contorni di una missione storica, semplicemente non può esserci spazio per l’opposizione politica. Questa è la nuova normalità in Turchia.

Le elezioni non saranno eque non solo perché il partito al governo ha a sua disposizione più strumenti per competere e non solo perché in uno stato di emergenza non esiste la libertà di espressione. Non saranno giuste anche perché il partito al governo descrive la situazione attuale come una lotta tra chi rappresenta la sopravvivenza nazionale e chi invece incarna il nemico pubblico. Erdoğan non è descritto come un candidato normale, e nemmeno come un essere umano normale, ma come l’eroe che salverà la Turchia da tutti i suoi nemici e al tempo stesso correggerà la storia.

Dopo l’elezione non ci sarà più alcuna possibilità di sfidare questa ideologia ufficiale. Diventerà il mito fondante della nuova era e sarà ancora meno possibile mettere in discussione la leadership di Erdoğan, che sarà riconosciuto non come una figura politica ma come l’unico e solo salvatore della nazione. Ecco perché definisco quelle previste per il 24 giugno come le elezioni finali della Turchia: siamo al finale, è la fine.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul giornale turco Hürriyet.

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